Emo Girl

Reina & Bret

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    Se c'è una cosa che sto iniziando a ripetermi da che sono fuori da quella merda è che sto finalmente rigando dritto. Che qualcosa, anche quando non è stata colpa mia, l'ho imparata. Ne ho fatto tesoro e ci sto provando davvero ad applicarlo ad ogni cosa. A far dell'accettazione il mio mantra, anche se poi di queste cose da santoni finisco per rompermene subito il cazzo e allora lo so, sì, che è inutile chiedere scusa a mia madre se poi finisco per tornare al punto di partenza. E il punto di partenza sicuramente non è una condanna per omicidio che avrei dovuto scontare al posto di un altro. No. Il punto di partenza sono le menzogne. Quelle bugie che a me sembrano bianche ma che la gente tende ad attribuirci significati diversi. Troppo peso, troppa importanza.
    E io sì, sto rigando dritto perché a lavoro ci sto andando. Perché venir qui come volontari comunque ci ha stravolto la vita e perché per un momento, non mi sembra nemmeno brutto dire che bisogna approfittarsi di ogni cosa. Di trovare del buono anche in periodi di merda. Che un regime lo combatti infiltrandoti tra i suoi schieramenti. Che se lo sfrutti per star bene e far star bene gli altri allora forse non sbagli. Non fai così tanti danni.
    E io ci sto provando, sì, a mostrarmi quanto più neutro possibile. A non avere niente da ridire. A rispettare le regole. Anche se poi sfrutto ogni cazzo di scusa per avvantaggiarmi ulteriormente. Così uso la scusa della vescica sensibile per andare al bagno più di quanto dovrei. Non tanto, ovviamente, che di passare per cocainomane proprio non ne ho le intenzioni, ma quella volta in più che basta per potermi fare una sigaretta. E qui, piuttosto che fuori, le sigarette si trovano difficilmente.
    Non lo so cos'è che ha spinto gli altri volontari a venire qui. Quello che so io è che se non hanno un motivo altrettanto buono (rispetto al mio, per dire), forse sono solo degli stupidi.
    Perché a conti fatti, anche se adesso non siamo costretti a dormire separati o in una macchina, mamma ed io non siamo felici di questa merda. Ma anche di altrettante cose, in realtà.
    Però sì, ci sto provando, comunque, a far quadrare le cose nel mio piccolo. A fottere il sistema fintanto che mi è concesso di fotterlo e di farmi andare a bene l'ultima sigaretta stropicciata e tenuta nascosta nella tasca della divisa finché avrò ancora qualcosa da fumare.
    E la nicotina che mi entra nei polmoni è perfetta. Quasi benefica. Mi fa affrontare meglio il mondo fuori da una cella. Un lavoro in cui ancora non sono totalmente capace. Tutte le persone che mi circondano. La sigaretta mi inserisce nella società. Anche se per fumarla devo trovare un sotterfugio e sperare che nessuno venga ad indagare sulla mia presunta dissenteria.
    Respiro. Il capo rivolto al muro del Rusty. Gli occhi chiusi un istante. Non me la prenderò così comoda. So che al massimo una pisciata può durare cinque minuti complessivo di pulizia dei water e delle mani. Cinque minuti comprensivi di andata e ritorno.
    Lo so, certo, per questo sto contando i secondi che mi separano dall'ultimo tiro nella testa. Sibilandone le cifre tra le labbra, ma solo perché così so rilassarmi meglio. Anche se poi di relax me ne posso concedere davvero poco. Soprattutto quando attraverso le palpebre vedo la silhouette di una persona e allora stringo la sigaretta tra i denti piuttosto che gettarla a terra e calpestarla con la scarpa.
    Deglutisco il fumo. Tossisco.

    — Cazzo.
    Poi gli occhi li apro davvero e non so il perché, ma non smetto di sentirmi spacciato. Nemmeno quando la silhouette assume le sembianze di una figa pazzesca. Che sia mora da sicuramente una marcia in più alla mia esclamazione, ma non per questo mi salva: ancora non conosco tutta la gente di questo posto. Mi stupirei, d'altronde, del contrario. E non so, ecco, lasciarmi vedere fumare da lei sia un male o un bene. Mal che vada posso giustificarmi dicendo di aver ricevuto la sigaretta in dono da uno dei clienti. Perché sono simpatico e non lavoro così male. Insomma, non ci vuole un cazzo a fare il cameriere.

    — La porta d'ingresso è, ehm, dall'altra parte.
    Potevo star zitto, sorridere e basta, invece ho deciso di fottermi un po' di più. Sarà che mi ha distratto, tanto che la sigaretta è ancora tra le labbra. Sarà che non so dire niente di decente, motivo per cui la prima volta sono stato portato dal giudice del wizegamort senza neanche passare dal vivo.



     
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    — Vedi, Melrose... i nostri tacchi si fanno spazio lungo il vialetto che porta al Rusty. Ho chiesto ad Anthony di fermare la limo in un parcheggio appena più distante, giusto per dare l'impressione di guadagnarci la fatica di una passerella per il volontariato.
    Mi sarei portata più "bee" con me l'unica che oggi non ha la peste bubbonica è Melrose.
    Melrose ha avuto parecchie sfortune nella sua vita, oltre a non essere minimamente carina, ha anche un nome orrendo. Figlia di una madre troppo amante delle telenovelas melodrammatiche. — ... è per questo che facciamo volontariato. Accenno a quell'uomo nascosto molto male trai cespugli. Giornalisti, paparazzi, non fa molta differenza in questo mondo.
    Noncurante fingo ampiamente di non averlo visto. Ma ho bisogno che lui invece ci veda, che scatti una foto alla perfetta figlia degli Hamilton, che - come crediti extra vogliono - fa quel briciolo di volontariato necessario a rendermi partecipe.
    — Per gli uomini che ci spiano tra le piante? Mi fermo a guardarla un secondo, incredula. Parlo tanto dei lacché di cui si circonda Derek, ma quanto pare oggi neanche io scherzo.
    Non posso credere che l'abbia detto, speravo che almeno i neuroni le funzionassero, ma immagino di aver puntato troppo in alto. — Sì tesoro, per quelli, brava confermo, la voce di miele. Tanto non nota alcuna differenza, non si è ancora accorta di nulla, e mi sta bene che l'equilibrio resti stabilmente così.
    Io ordino, lei esegue. Io le chiedo di accompagnarmi, e lei lo fa. E' perfino troppo semplice, quasi noioso. — Comunque almeno non ti sei vestita come una girl-scout. Perché mia madre, per quanto sia appiccicosa, mi ha insegnato qualcosa di giusto, ovvero che in questo ambiente la sciatteria non è consentita - orrore assoluto - e meno che meno per dimostrare umiltà.
    La falsità è un dono, ma va mosso conoscendo bene il gioco a cui si sta giocando. Non ha senso portare una torre se di sta giocando a filetto.
    Ad ogni modo, mia madre mi ha insegnato che non si fa niente senza essere assolutamente perfetti. Io non esco dal dormitorio in tuta, quella è utile solo per la palestra.


    Solo quando siamo a mezza via mi accorgo di una figura troneggiante sul retro. Non vedo bene a questa distnza, ma tanto mi basta per spingere Melrose ad entrare e consegnarle anche le mie borse di viveri e beni di necessità per i-... per le creature. Aspetto di assicurarmi che sia dentro, prima di svicolare sul retro, in tempo perché il biondone - non ricordo bene la politica sul fumare nei dintorni, in pausa - anneghi nel suo stesso fumo.
    Melliflua, gli rivolgo lo stesso sorriso compassionevole che si è meritata Melrose prima.
    — Non mi dire, magari la scritta "entrata" doveva dirmi qualcosa? Le ciglia sbattono, mentre mi sfilo gli occhiali per guardarlo meglio, appena la nuvola di fumo si dissolve.
    Non l0ho mai visto, e ci vengo più spesso di quanto vorrei ammettere, perciò azzardo un calcolo veloce. — Sei nuovo, non è così? Spiegherebbe il perché tu non mi conosca. Il che è inconcepibile. Le calze pizzicano appena lungo le gambe bellamente in mostra. Gli occhi questo cristone hanno il loro perché, non fosse altro almeno è alto quanto un campanile, ce lo vedo bene dietro il bancone. — Reina Hamilton che dovrebbe essere un nome che parla da sé.


     
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    Partiamo dal presupposto che se sono stato dentro è perché non sono bravo a togliermi via dai casini. È un calcolo facile, ci arriverebbe anche un bambino poco sveglio. Partiamo anche dal presupposto che non faccio cardio da un bel po', che fumo da anni - fatta eccezione per quei momenti in cui le sigarette non arrivavano eh, beh, lì era tosta - e che quindi avrei uno scatto terribile. Inoltre non so correre, sembro stupido quando lo faccio quindi, beh, capisco ben presto che anche se non dovrei essere qui poi qui ci resto. Con le spalle al muro, senza capire un beneamato cazzo di quel che sta succedendo o almeno, senza sapere chi cavolo sia Reina Hamilton.
    Provando a tirare ad indovinare, ma giusto perché qualche serie tv devo averla vista nei tempi morti - e perché mia madre è una grande fan della roba di Shonda Rhimes - posso rispondermi dicendo che sì, sicuramente Reina è il nome del cazzo di una tipa che se la tira da morire. Ma solo perché la sua assonanza mi ricorda il nome di una regina (ovviamente non in inglese, ma in italiano) e perché Hamilton assomiglia a Hilton. Coincidenze? Controllerei il suo conto in banca giusto per non dovermi dare subito la vittoria. Insomma, si sente che trasuda soldi e importanza anche dal profumo che indossa. Non ci capisco un cazzo di profumi: devo aver fumato troppo per riuscire a discriminare bene gli odori, ma se rimane qualche traccia sui vestiti, allora significa che indossa qualcosa che è di buon mercato. I profumi da quattro soldi durano il tempo di una spruzzata.

    — Oh, Reina Hamilton! Presentarsi con nome e cognome denota tutto ciò che ho detto prima. Io mi faccio chiamare Bret. Semplicemente Bret dagli estranei e Kelly da chi sa che prima di Bret c'è Kellin. Va be, insomma, non mi annuncio come fossi un Targaryen. Kellin Bret della casa Çevik, "Nato dalla madre", secondo del suo nome, figlio illegittimo di Osmar che però gli ha dato il cognome, signore solo perché sta per raggiungere i trent'anni, fumatore che non aveva diritto alla pausa, biondo del ghetto, Il tinto di Londra, "il non-giustiziato", "Padre dell'ozio", re di casa sua, "non Distruttore di stereotipi".

    — Sono nuovo, certo, ma il tuo nome è leggenda. Non è vero e forse sto persino esagerando. Magari un po' troppo, sì. Dovrei decisamente darmi una cazzo di regolata. Il fatto è che non riesco a smettere di parlare quando sono a disagio. E ora, beh, dovrei proprio rientrare, ma questa pare volersi far riconoscere a tutti i costi.

    — Non avrei mai immaginato di incontrarti così presto. Butto la sigaretta a terra. Mi tiro su con la schiena. La scrocchio un attimo, ma giusto per non sembrare un goblin ingobbito. — Solito giro? Che giro? Non lo so, sto svagheggiando. — Sei qui per i nostri primi? Oh, oggi c'è robina speciale fuori menù. Me ne fregasse davvero del menù magari saprei cosa dire. — Oh, io sono Bret Allungo la mano che prima ho pulito malamente contro il pantalone, quasi schiaffeggiandomi la gamba. — Ricordati di questo nome quando lascerai l'ennesima stella su ghettoadvisor.



     
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