Let the dogs out

x Riley

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    L'ho già detto: non me ne frega un cazzo di quello che mi dice. Del modo stupido con il quale si lascia sfuggire un ansimo dopo l'altro. Non mi interessa nemmeno del rumore che fa: non siamo schermati dal mondo, ma siamo fortunati quanto basta per poter resistere dieci minuti buoni senza essere interrotti. E io non voglio che lo facciano, tanto che sono pronto a tirar fuori la bacchetta qualora qualcuno possa prenderci alla sprovvista. Perché ciò che è mio resta mio e questo vale dal suo inizio fino alla sua fine. E non fermo la corsa: non ho bisogno di intermezzi per ricordargli quanto possa piacermi. Non devo nemmeno dirglielo, perché non siamo due ragazzini e un pompino può restare un pompino senza troppi altri coinvolgimenti. Anche se so quant'è che costa. Cos'è che nascerà da qui. Mi aggrappo a quell'immagine, probabilmente. Alla consapevolezza di non essere affatto scarso. Di sapere dove e come andare a parare. Cosa afferrare e quanto stringere. Per ora la mia presa su Joshua è leggera, perché voglio lasciargli l'opportunità di divincolarsi e al col tempo farsi del male. Lacerarsi la pelle se solo ci prova. Portare su di sé i segni dei miei graffi. Così spingo di più. Affondo con più sicurezza, giocando con la lingua laddove mi è concesso cacciarla fuori, rispondendo così alle sue parole insensate con il suono delle labbra che sfregano contro la sua pelle. Con le bolle di saliva che fanno attrito. Voglio che mi senta in ogni cazzo di modo, affinché tornato a casa non si dimentichi di questi dieci cazzo di minuti. E accelero se c'è bisogno di farlo. Se la tua follia è al limite della sopportazione e io non ho alcun motivo di prolungare la tua agonia. Magari in un altro contesto lo farei. Magari un'altra volta, ecco, giocherei un po' di più. Ma non oggi, che a me serve semplicemente da avvertimento. Un monito. Un modo come un altro per pisciare su un determinato territorio.
    Joshua è mio.
    Cazzo se da oggi sei mio.
    Soprattutto quando non arretro e lascio che tu possa travolgermi. Che il tuo orgasmo sia nettare. Linfa vitale, la conferma che qualcosa oggi si è insidiato per bene in noi. Perché nello stomaco io ti sento volteggiare insieme alle farfalle. Batti le ali con lui. Dimenati come mi avevi promesso, ragazzino. Soprattutto quando succhio ancora per ripulirti e la presa sulle tue natiche non la mollo un istante, nemmeno quando ritorno in piedie. con la stessa bocca torno a baciarti di nuovo. Un limone lungo, che sia uno scambio dei nostri profumi.
    Uno schiaffetto leggero sul viso.

    — Almeno per una mezz'oretta sarai sciolto. Sorrido, faccio per tirarti su i pantaloni ed abbottonarli per bene sul davanti. Nel farlo ti tiro ancora un po' verso di me. Solo per sentirti scivolare come burro tra le mie mani. Sono fatte per accoglierti. Sei un cazzo di pianoforte. Sei fatto d'avorio e d'oro. Come dicevano in Velvet Goldmine: le tue labbra riscrivono la storia.

    — Ora togliti dal cazzo. Si è fatta una certa e domani mattina devi passare quanto prima dalla tua amica. Un'imposizione: è solo così che riesco ad organizzare tutto. A dare una quadra alla mia cazzo di vita. — Sempre che esista e ora stia dormendo davvero. Potrei avere i miei dubbi. O non averli affatto. Ma insomma, ecco, è così che mi diverto a giocare.



     
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    Porcaputtana. Non so quanto riesco a resistere finché tu ti affami in questo modo. Ogni piccola stretta che osi, ogni fottuto morso, alimenta questo piacere che mi scava una voragine in gola. Roco, non riesco più a dire un cazzo nelle ultime spinte, quasi ti scopassi così. E non riesco a guardarti, ma solo perché tenere gli occhi aperti durante l’orgasmo è quasi impossibile.
    Eppure il bacino lo spingo in due ultimi affondi, fino a che non capisco quale cazzo sia il tuo limite, ché tanto non riesco a trovarlo. Il calore delle tue labbra mi ha fatto a pezzi ed imprecare è stato un gesto quasi magnanimo nel mio apice.
    Non ho il tempo di questi brividi che pur sentendoli tutti, mi sembrano durare troppo poco, in un attimo che sfugge alla mia presa.
    Mentre io non scappo alla tua, ancorata lungo la pelle tanto da farmi ringhiare, da spingermi ad una ribellione che ti andasse contro seppur così non sia valido niente, Riley.
    E tu mi baci. E questo non è un bacio e basta. Questo sono anche io che ti stringo a me con la presa ancora salda trai tuoi capelli. Io che ti bacio di più, sciolto e non so ritenerlo ancora un cazzo di ringraziamento. Non so cosa sia, mi dà i brividi, mi si agita ogni fibra e non voglio che finisca. Vorrei baciarti ancora, cazzo. Continuamente finché non mi si secchino le labbra o non mi cedano le ginocchia. Immaginavo da me che non ti saresti spostato, ma sentire la cazzo di foga con cui hai deciso di restare e portarti via tutto, mi ha steso.
    Ti bacio finché non decidi di finirla, ed al tuo schiaffo leggero io rispondo con una presa che si fa più salda. Smettila, non stai già andando via.

    — Così non vale, cazzo. Mi lamento, si. Cristo se mi lamento, anche se poi hai ragione. Magari sarà anche più di mezz’ora, ma non a causa del mio tempo di ripresa. A causa della voracità con cui mi hai appena fatto a pezzi. — E fra mezzo’ora che cazzo faccio Ma non è una domanda, il proseguire di un lamento, di un morso che spingo agli angoli delle tue labbra quando mi rivesti e - così facendo - mi avvicini a te di nuovo. Non me ne frega un cazzo di farti vedere che ho ancora fame, che ho ancora voglia, che era solo un antipasti perché non ci vuoi ancora scopare con me. Va bene. Vaffanculo, va bene. Un ringhio si sposta verso il ghigno, prendo lo slancio solo perché ne ho voglia, magari anche stavolta finisco per mordere a vuoto prima di riappoggiarmi al muro. Sei serio, non ci vuoi proprio venire a casa con me. Stringo i pugni e mi levo dal cazzo, va bene.
    — Sì ok va bene, vaffanculo però va bene. Una protesta che finirà per far ridere anche me quando non so dire grazie a qualcosa che è stata solo un antipasto. L'antipasto migliore che qualcuno abbia mai servito, ma sono cose che non ti dirò, seppur io sia ancora affaticato.




     
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