Let the dogs out

x Riley

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    Mi gira il cazzo. Lo fa da quando venire qui di corsa mi è sembrato un muovermi a vuoto, per nulla. Ho lasciato di nuovo mio figlio da Shonda, e so bene che la soglia di tolleranza di Remì è ridotta ai minimi termini adesso, è una cazzo di carta che mi devo giocare bene.
    Sì ok, sono altri soldi che non fanno male con i cazzo di affitti di merda di Londra - pure a Brixton è tutto una merda - ma ho capito che qui la situazione ne vale molti di più. Non vale la merda in cui mi troverei immerso fino al collo per un solo passo falso al ministero. Un conto è circuire un fottuto Auror, un altro è mettere piede nel posto che potrebbe rendere di nuovo Mimì un orfano.
    E Mia, cristo, Mia.
    Se già mi giravano prima, sentirla parlare ha tirato fuori il peggio di me. Come cazzo può pensare che io sia pronto a metà di tutta 'sta roba. E' vero che le ho promesso una mano, ma non tutto il resto del mio corpo.
    E so che metà dei miei problemi non li posso esporre. Non posso ringhiarli fuori come se nulla fosse. C'è un motivo per cui sono diventato occlumante, e non è per paura. Ma per la fottuta consapevolezza di ciò che sono, e di come funzionano le leggi in questo paese. Se non fosse che ho i miei legami, avrei portato via Remì in America. Magari non nel Maine, che è una merda, ma in qualunque altro posto in cui non rischiassi così tanto anche solo per respirare.
    Ma non posso, per tante ragioni io non posso. E, più che altro, Remì ama Londra.
    La ama proporzionatamente a quanto io la odi. Ma tant'è che ho a che fare con questo, e sentirmi con le spalle al muro tira fuori la peggior versione di me. Tuttalpiù che non intendo diventare un cazzo di finto Kai Parker, e fingermi un coglione.

    Sto ancora ringhiando a denti stretti, il filtro della sigaretta ha il segno dei miei denti, quando Riley mi affianca. — Non ho intenzione di credere che sia una fottuta coincidenza. Secco, duro, lo spingo fuori come una lama per un fachiro che l'ha trattenuta troppo a graffiare la trachea.
    Non so bene di cosa lo sto accusando, ma continuo a guardare dritto il molo davanti a me, come se non stessi congelando a quest'ora della notte.
    Ma forse davvero, più di tutto mi rode il culo per Remì che, anche stavolta, non merita un padre così di merda.
    Mi rode il culo per Nilufar, che mi avrebbe implorato di dare una mano molto più di così, che tanto lo so bene che Mia è fatta della stessa pasta. Ma invece che convincermi a fare del cazzo di bene, tutto questo mi convince che devo tornare a farmi i cazzi miei.
    Magari nel biglietto da visita la prossima volta aggiungo che non mi devono rompere il cazzo, e che sono solo un obliviatore, non una spia clandestina per la resistenza.
    Mi rode il culo perché un tempo avrei fatto anche più di così, pur di rischiare un cazzo di brivido. Ora ogni volta che provo a rigare dritto, mi ritrovo nella merda, e mi è solo sembrato di avere a che fare con dei ragazzini, Lycan o non Lycan. Disegno piccoli cerchi di fumo.
    — Non so neanche che cazzo dire, è assurdo. Non so farlo quello che volete. Idea di merda.




     
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    Se c'è una cosa di cui sono davvero sicuro, è che ho bisogno di prendere una boccata d'aria per riflettere meglio su quanto ci siamo detti. Su come si sono susseguiti tutti gli eventi. Su tutte quelle criticità che per ora mi sembra di non essere riuscito a tirar fuori a dovere. L'unica cosa di cui sono certo, è che non avremmo potuto far di meglio, non in così poco tempo e che mi fido abbastanza di Raiden da sapere che la sua mossa riuscirà a regalarci qualche minuto in più.
    Ma non so di quanto tempo effettivamente avremo bisogno. Non so nemmeno quanto ce ne resta. Ed è qualcosa che in un primo momento non dico a Joshua. Non quando lo raggiungo fuori e allora la prima cosa che faccio è accendermi una sigaretta.
    Pongo un momento di pace in una serata che non la prevede. Ho sonno, ma so di non aver tempo per dormire e domani ho otto ore di servizio che non no nemmeno voglia di eseguire. Sbadiglio e con gli occhi chiusi, lascio che lo spasmo spinga in giù il fumo nei polmoni.
    Non so bene cos'è che bisognerebbe dire adesso. Non voglio sembrare quello a cui non sta mai bene nulla, né il paranoico di turno. Ma qualcosa qui non mi piace. E non è l'idea di approfittare di un momento del genere: Mia avrebbe dovuto muoversi diversamente, ma capisco com'è che funziona l'istinto. Le bestie le conosco e so che sono nostre amiche quanto basta per regalarci un'opportunità. E questa di Kai, cazzo se lo è. Lo è davvero, solo che abbiamo bisogno di un momento in più di riflessione per ammetterlo. Per comprenderla a pieno. Momento che non posso permettermi di strappare ulteriormente. Non a Joshua, che già percepisco su di giri più del dovuto. Non posso leggerlo perché lo stronzo è blindato peggio di Alcatraz, ma posso sforzarmi di interpretare il movimento del suo corpo. Di dare una risposta alla cadenza dei suoi respiri.
    Lo studio, ma non commento per ora.

    — Che coincidenza? Domando semplicemente, con una spalla a spingere contro la sua mentre prendo a camminare e gioco al quindicenne di turno che tenta chissà quale approccio. A volte mi ci sento. A volte mi rendo conto che se so di piacere, poi finisco per marcirci un po' su. Mi piace essere guardato, anche quando magari non è il momento adatto per accettare certi giochetti.
    E non mi piace saperlo tanto nervoso. Non sceglierei mai di lavorare con qualcuno che sa mostrarsi tanto su di giri, nemmeno quando anche io finisco per oscillare tra l'eccitazione e la quiete e ondeggio, come fossi trascinato via dal mare.

    — Puoi non farlo. Non vorrei, ma mi esce in un ringhio che mi spinge con i denti contro il filtro della sigaretta. Non ce l'ho con lui. Forse sono arrabbiato con il suo tono di voce. Forse mi da fastidio il modo in cui suona.

    — Insomma, la polisucco la prendo io. Tu torni a casa e se servi per obliviare qualcuno, beh, magari ti chiamo. Non voglio tagliarlo fuori dai giochi, vorrei semplicemente fargli capire che, a conti fatti, non voglio metterlo in mezzo a qualcosa che non ha voglia di fare. Non forzerei nessuno. — Non sei costretto a fare ciò che non vuoi fare e verrai comunque pagato per il disturbo, ci mancherebbe.



     
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    Sono un po' stanco anche io, se non altro - anche se sono allenato a fare serata - so che non mi dispiace neanche per il cazzo godermi qualche momento di calma con Remì sul divano, e magari finire per essere già a letto alle dieci di sera.
    E mi stava bene trovare al volo Shonda per rifilarle Mimì una sera extra, che sicuro le devo pagare perché sarà anche una santa ma non tira avanti senza un dollaro ogni settimana. Da che la conosco ha cambiato un lavoro ogni tre o quattro mesi. I più gettonati sono i contratti brevi da cameriera, da inserviente o da lavandaia, come nel cazzo di medioevo. Il marito è un operaio edile, e con una gamba mezza acciaccata è tanto che riesca ancora a mantenersi un lavoro, non posso permettermi di non pagarla, sarei una merda.
    Ed è su questo concetto di merda, nello specifico, che mi si arrovella la coscienza adesso. Intendevo ogni parola di quelle che ho proferito lì dentro, non me ne rimangio mezza, ma...
    — Mia. E' lei la coincidenza di cui parlo. O il mondo è fottutamente minuscolo, oppure io sono così fortunato da correre qui in piena notte per Riley e trovarmi lei, come una cazzo di trappola. Ma non lo sto accusando, non è lui il punto di tutto questo, non solo. — Il punto è che, pochi giorni fa, io ho fatto una cosa per lei e, dopo, le ho detto che se le serviva un aiuto in quello che so fare, poteva chiamarmi... Invece mi chiami tu- E ti guardo, Riley. Mi sento i tuoi occhi addosso, Riley. Cazzo. Finisce che un po' mi ci perdo, che ad ondeggiare ondeggio come fai tu, come se io stessi imparando, anche se adesso tengo le mani calde nelle tasche.

    Magari è questo moto incostante che mi lascia un ghigno, anche se ripiombo in un breve silenzio. Non devo fare quello che non voglio fare, e grazie, su questo siamo d'accordo tutti, tranne Mia.
    Ma non è neanche questo, non se poi la sigaretta la getto a terra che è ancora a metà e ci passo sopra con il piede per schiacciarla.
    Lascio che il suo sguardo torni a cercarmi anche se ancora non ricambio un cazzo, incasso le spalle e piego il collo, mi sono teso come un cazzo di violino.

    — Una volta l'avrei fatto. Non capisco perché te lo sto dicendo, forse perché non puoi leggere questa cosa per conto tuo. Forse perché con te sono più calmo, come se la mia rabbia trovasse uno sfogo differente, come se potessi essere stanco una volta tanto o potesse girarmi il cazzo e basta.
    — Non ci avrei pensato a lungo, le avrei detto che iniziavamo subito e basta. Mi fermo, anche se il molo è qui, ho voglia di stare fermo a vedere come l'acqua sappia assumere un colore diverso ora che la rabbia lascia spazio a non so che cosa. — Ma adesso ho Remì gli occhi tornano a cercarti, Riley, perché so che questa è una cosa che capisci. — Lui è l'unico per cui farei ogni cosa, persino rischiare così tanto se sapessi che è per farlo vivere meglio. Ma non voglio rischiare che invece resti solo di nuovo. Non lo farei per un amico, né per un ideale.

    Magari adesso per questo sarò uno stronzo. Ma è la sola giustificazione che ho, l'unica che mi farà forse dormire la notte, dopo che il fantasma di Nilufar e la sua coscienza rimasta incastonata in me, avranno fatto di tutto per tenermi sveglio.



     
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    — Cos'hai fatto per lei? Mi esce spontaneo, così come lo fanno i passi che lo affiancano. La mano che scivola lungo il fianco, le nocche libere per che per un momento solo sbattono contro quelle che lui tiene nascoste nella tasca dei pantaloni. Non è una richiesta, è solo un lasciarsi andare, lievemente, un istante solo, quello di cui ho bisogno per ammorbidire quantomeno i muscoli delle spalle. Poi però mi rendo conto di non aver motivo di far domande tanto dirette: non dovrebbe interessarmi cos'è che ha fatto per lei o cos'è che lei può avergli chiesto. Non siamo qui, insieme, per questo. Non questa sera, nemmeno quando è stato lui a trovar una coincidenza che io, certamente, non ho forzato. Non sono un organizzatore di eventi. Se posso, eventi del genere li evito con tutto me stesso. — No, niente, perdonami. Non è affar mio in effetti. Mugugno continuando a fumare con la mano che più gli è distante. Non ho, per ora almeno, un punto in cui guidarlo: ho le mie conoscenze, certo, ma questo non vuol dire che è proprio grazie a quelle che troveremo la polisucco in un batter di ciglia. Se posso, mando lui in avanti: perché tra i due incarna perfettamente lo stereotipo di chi sa come destreggiarsi nei bassifondi. Io sono fuori luogo già da troppe ore.
    — Ad ogni modo posso garantirti che sì - magari è stata solo una coincidenza. Scrollo le spalle, ne parlo come se stessimo disquisendo di cose quasi piacevoli, non di proposte che vivono un po' a cavallo tra quello che sentiamo esser giusto fare e ciò che invece proprio. non fa per noi.
    E che questa storia non faccia per lui io lo comprendo. Non lo condannerei per questo. D'altronde immagino di potermi ritrovare nella sua stessa posizione se non fosse che Nico è il figlio di due che a certe accortezze forse ci badano un po' di meno. Esmeralda ed io non siamo genitori migliori di lui. Forse siamo più sciocchi sotto determinati punti di vista. Così sciocchi che, leggendola fuori casa, non le ho nemmeno chiesto dov'è che ha lasciato nostro figlio. Forse mi fido del suo giudizio. Forse dovrei smetterla di fidarmi tanto delle persone che mi circondano. Compreso di Joshua, in effetti.

    — Senti. Mi fermo. La mano che per tutto il tempo si è mossa verso la sua adesso scivola nella tasca dei miei pantaloni. Si ritrae timida. Si tira via dopo aver lanciato il sasso com'è solito fare in momenti come questi. — Non voglio una giustificazione. Insomma, non devi sentirti in dovere di dovermene dare una. Lo capisco cos'è che vuoi dirmi. Sono padre anche io. E, tornando al pensiero di prima, non so se, in effetti questo possa essere usato come paragone. Non ci tengo nemmeno, sinceramente, a porci l'uno dinanzi all'altro. — Farai ciò che è in tuo potere fare. Oblivierai e nient'altro. Ho contattato la madre di mio figlio. Non sa bene di tutta la situazione, ma domani mattina, prima di un turno del cazzo, passerò ad aggiornarla. Magari ci aiuterà anche lei. Prendo fiato come se non mi fossi reso conto di avergli vomitato tutte queste informazione senza chiedergli minimamente il permesso di farlo. — Potrebbe prendere il tuo posto, almeno in quel senso. Insomma, non so, ho bisogno di pensarci su, comunque non ti chiederò più di questo. Perché qualcosa, stupidamente, preme nel mio sterno. Magari sono debole al concetto di famiglia. Magari conoscere Remì per ciò che gli ho strappato via deve aver risvegliato qualcosa. Quella stessa cosa che vive al sicuro solo quando Nicholas è con me. Quando so di poter alzare lo sguardo dalla poltrona e trovarlo lì, a due passi da me, pronto a giocare con Emily.
    — So quanto sei importante per quel ragazzino e no, non farmene una polemica. Forse le cose, adesso, sarebbero diverse se non fosse stato per Remì.




     
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    Non è solo Remì il centro della mia reticenza, ma non posso parlarne mai davvero con nessuno. Meno che meno lo farei con un Auror, già di per sé capace di leggere ben oltre il dovuto. Per quanto l'idea che ci sia qualcuno che possa capire senza continuare a chiedere, mi alletti da morire.
    Dio, a volte vorrei poter avere un punto solo nella mia cazzo di vita in cui posso smetterla di essere sempre sull'attenti, come se da ogni parte dovesse arrivare lo schifo, la merda, il peggio.
    Ma vivere senza stare attenti, non è da me. Me l'ha insegnato mio padre, e mia madre prima di lui. E poi Nilufar ha fatto il resto, portandosi via tutto.
    Ma potrei continuare ad ascoltare Riley parlare, anche quando la domanda gli affiora spontanea e la mia risposta è solo un ghigno con un lento accenno negativo del capo. No, non ti dirò cosa ho fatto per lei, anche se potresti leggerglielo facilmente. Magari ho bisogno che tu sia un po' più curioso, che mi cerchi un po' meglio, fammi vedere quanto ti importa.
    Sentirlo retrocedere sulla domanda non mi preoccupa, non fa che lasciare viaggiare quella parte di me che annega nella curiosità. In questi vicoli, lo guido io, ma solo perché so dove siamo. Lo sapevo da quando mi ha mandato la via. Per questo immaginavo che non sarei tornato presto. Conosco gente di qua, ma se la Polisucco preferisce prendersela da solo, non svelerò i miei.

    Però la tua mano la sento, Riley. Fremo con le nocche che si sfiorano, e come io ti nego la mia testa, tu mi neghi il tuo cazzo di corpo. Non so che cazzo me lo fa dire, penso sia un modo di cacciare anche il tuo. — O magari Occhidolci la sa lunga. Ma non credo proprio.

    I miei passi si fermano quando si fermano anche i suoi. So bene quando ho sfilato una mano dalla tasca: due istanti prima che lui ritraesse la sua.
    Dice che capisce cosa sto dicendo - ma non avevo dubbi - e che non serve che io mi spieghi. Per questo magari mi irrigidisco un po'. Forse ho fatto qualche errore di calcolo, magari di queste cose non frega un cazzo a nessuno.
    Tutto però scala la vetta troppo velocemente, passiamo dal fare solo ciò che posso - e cristo se è vero - a... la madre di suo figlio. E non so impedire quell'assottigliarsi veloce dello sguardo.
    — La madre di-... ehm, sì beh, sei tu che ne sai di più di come si fanno queste cose. E se pensa che farsi affiancare da lei sia meglio... — Questi, invece, non sono affari miei, mi sa.
    Non distolgo lo sguardo neanche a pagarmi. E, a quel proposito, scuoto il capo mentre ci rifletto. Perché lo so che cazzo dirò, ma non va bene, molte cose qui cominciano a non starmi bene. — Nessuna polemica... alzo le mani, in un immaginario arresto, ma poi so tornare fin troppo serio e troppo velocemente. Come? Come sarebbero le cose senza Remì? mormoro.

    Perché il mio punto di vista lo so, ma non so il suo. So solo che il mio ragazzino adesso mi starà odiando e che c'è una parte di me che vorrebbe andare da Shonda, sollevarlo dal suo letto mentre dorme e portarlo in quello che gli ho montato in camera. Con me, dove deve stare. Con me che riscopro la paura da quando lo conosco. Io che pensavo che, dopo la morte di Nil, niente mi avrebbe più spaventato, e niente sarebbe più valso la pena della mia rabbia. — I soldi stasera non li voglio, questa cosa non era nei patti di nessuno, io tiro avanti comunque, ne ho ancora.


     
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    Vorrei direi di non sapere per quale motivo ci siamo fermati. O almeno, perché ce ne stiamo così, immobili, quasi in attesa di scoprire chi dei due farà la prima mossa. Siamo in stallo, ci siamo finiti di nostra spontanea volontà e forse una parte di noi sta persino gongolando per la cosa. I miei occhi cercano i suoi perché è così che so comunicare. Così che traggo le mie conclusioni, che strappo via tutte le informazioni che mi vengono negate. È così, sì, se so comunicare. Se è nello studio delle distanze che si muove il mio operato. La mia legittimazione, il motivo per il quale spingo su un sorriso bambino. Sciocco, più che altro. Furbo.

    — Sbaglio o leggo del fastidio nella tua voce? Voglio dire, possiamo continuare a giocare all'infinito. D'altronde se non fosse stato per questo inconveniente avremmo sicuramente accelerato le cose. Perché, insomma, si sa com'è che vanno a finire appuntamenti come quelli che ci eravamo dati. Io lo so com'è che si cena con una veela. Anche se non lo sono completamente e in me viaggia solo un filamento di ciò che è stata la mia bisnonna. Sarà l'Irlanda a sortire questo effetto. A scuotere ogni reame. A risvegliare tutti i folletti e le fate che ci attribuiscono. Io lo so, sì, com'è che si ha voglia di fottere una fatina.
    Ed è proprio nel sorriso che avanzo la prima mossa. Un riavvicinarsi che è utile per far sì che la voce non si sparga troppo. Un modo per dire che in realtà la cosa non mi ha toccato affatto. Insomma, non dovrebbe. Non abbiamo la prerogativa di aggrapparci chissà a che cosa. In realtà non legittimerei neppure certi bisogni. Siamo qui per lavoro
    E se non è il lavoro è una cazzo di causa. Che poi sia personale o meno poco importa. Diventa di tutti nel momento in cui finiamo per sbatterci contro.

    —Senza Remì adesso cercherei la Polisucco per conto mio. Avanzo così parte della verità che avvolge la nostra conoscenza. Il motivo del nostro incontro. Questo perdurare che sì, magari dura solo da qualche giorno, ma a me sa già di troppo, troppo tempo. Non avremmo nemmeno una cena in sospeso, se è per questo, ma non sarò di certo io a puntualizzare i tuoi bisogni.
    —Perché non mi sarei mai fidato da solo di un viso come il tuo. Ti avrei denunciato per furto e violazione dello statuto di sicurezza magico se non fosse che Remì ha detto che sei speciale. Non lo ha detto apertamente, ma me lo ha fatto capire. Inconsciamente, senza nemmeno farci caso, lui mi ha messo tra le mani la vostra vita. E dove tu, Josh, ti neghi al mondo, lui è lì pronto ad urlare la tua bellezza.

    —E i soldi te li prendi. D'altronde sei qui per i cinquecento promessi nel messaggio, giusto? Su, confermami le mie teorie. D'altronde abbiamo solo questo: la fiducia in ciò che diremo. Solo e soltanto fiducia incontestabile. Verità soggettive a cui possiamo decidere di lasciarci andare.




     
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    — Sbaglio o leggo del fastidio nella tua voce?
    La mia risposta è un ringhio insoddisfatto, che spingo piano a far stridere i denti tra loro. Distolgo lo sguardo solo perché in me si pianta una stupida risata ma che certo non è una negazione.
    Sì, mi infastidisce che probabilmente io non ho un cazzo di te, Riley.Anche mio figlio avrà pur avuto una madre, certo non l'ho generato io, ma non è qualcuno con cui sono in contatto, non è figlio di un rapporto come invece lo è il tuo per te, mh? Quindi sì, magari la mia reazione è già una risposta ma non sono così stronzo e poco lungimirante da proferir parola a riguardo, mi prendo solo i brividi che questo gioco sa darmi, soprattutto quando torna su quel piccolo ma cruciale argomento. Un suo passo avanti è corrisposto dalla mia attesa, dal mio drizzare la schiena, attento. Gli occhi finiscono a ricercare il castano dei suoi, ancora, e ancora, come un cazzo di loop da cui non mi separo ora.
    Mi chiedo quante cose lui abbia imparato a leggere anche quando nessuno risponde apertamente alle sue domande, anche quando qualcuno è blindato come me. Mi chiedo se si senta al sicuro o sbilanciato oltre quel pizzico di paranoia. Mi chiedo se lo senta quel brivido stupido dell'intoccabile, per quanto io sia tutto tranne che questo.
    Mi chiedo se sia un fastidio che affama, o qualcosa da cui stare sempre più distante. D'altronde, c'è la madre di un figlio nei paraggi, mh? Lei lo aiuterà più di me.

    Ma deglutisco lo stesso, appena più teso quando la minaccia, per quanto magari non lo sia, spinge il brivido lungo la colonna spinale. Mi avrebbe arrestato, per qualcosa che ho solo vagamente accennato a fare, e quindi sì il mio sorriso colpevole mi porta a mostrare piano piano i denti. E' il campo delle faine questo, ma lui è il cane del pollaio, non quello stupido che il fattore adotta perché finirebbe per strada, lui è quello addestrato e cristo se lo sento come mi blocca la gola.
    — Un viso come il mio... lo metto più in luce, anche con la lingua che passa piano a sfiorare i canini, mi esce in una risata secca che si pianta in petto. — ... cazzo sono così minaccioso Ci scherzo, ma lo faccio perché una parte di me vuole una reazione, una qualunque che mi spinga spalle al. muro, una che mi rimetta al mio posto, dove da solo non so finirci. Voglio tirare la corda, Cristo voglio sentire qualcosa.
    — Non ho estratto la bacchetta, Riley, mi arrestavi per le mie intenzioni? Perché quelle erano davvero davvero pessime. Ma è sul filo dello scherzo, forse perché in parte mi sono già salvato da quel destino, o forse perché non condannerebbe un padre e l'ha messo in chiaro. Anche se la specifica su Remì mi fa bruciare appena gli occhi. Ti avrei cancellato.
    Il mio piccolo demone intelligente sa sempre il fatto suo, e credo che, già da ora, sarei perso senza di lui.
    Il nodo in gola che si stringe. Come se fossi quei condannati sulla nave pirata, costretti e percorrere la trave con la sciabola puntata sotto il mento.
    Riley è una sciabola anche senza lama, riluce da solo muovendo pochissimi muscoli. Io ho già perso, ma non ho certo smesso di giocare, ché se mi devo fare una nuotata con gli squali, cazzo facciamola!
    —E i soldi te li prendi. D'altronde sei qui per i cinquecento promessi nel messaggio, giusto?
    — Già affermo, con una cautela che si fa fiato che scende piano in gola, l'aria è gelida ed io sto mentendo. No dichiaro, due istanti dopo. — All'inizio pensavo stessi anticipando la cena, in un modo un po' del cazzo, così all'ultimo minuto, ma ci stavo. Alzo le spalle, la mano ancora fuori dalla tasca. — Che devo farci, sono un adolescente. Quasi fiero di ciò che sto dicendo anche se si muove l'ennesimo sorriso di scherno a me stesso. — Comunque non ho lavorato davvero stasera, non me li merito ancora, tienili per quando farò qualcosa sul serio. Ok?

    Ché io non posso dire di non averne bisogno, mi servono ogni fottuto giorno, ma già con il nostro accordo a casa mangiamo meglio, sempre evitando tutto quello che potrei cucinare io, perché resto pessimo in materia. — Siamo su suolo magico che è il motivo per cui ci siamo fermati qui, Riley. — Non è illegale smaterializzarsi qui se tu volessi andare già via, anche se avanzo di un passo, quasi volessi impedirtelo io, anche solo standoti davanti.



     
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    In media in un rapporto sessuale l'uomo eiacula tra i cinque e i dieci minuti. Come dice qualcuno, applicandolo a tutto il resto, è l'attesa stessa il piacere. Il fatto che sappia sussistere un intero mondo emotivo intorno a quei cinque - dieci minuti. Non lo so perché ci penso. Perché mi ritrovo a far i calcoli con le dita mentre lui mi parla. E l'attenzione no, non gliela sto negando. La sto solo splittando in due. Una parte è sua, una parte viaggia chissà dove. Ma sono multitasking. Mi dico anche questo. Me lo ripeto come fosse un mantra o il giustificativo, sì, per non affrettarmi in questa ricerca della polisucco. Insomma, deve pensarci lui per motivi ben precisi e uno di questi non riguarda la sua conoscenza del suolo. Credo fermamente di essere capace quanto lui di ricavare informazioni, semplicemente, adesso, mi adagio.
    Cadenzo persino i passi. Annullo distanze che diversamente potremmo creare. Non mi interessa di essere su suolo magico. Non è lui a dovermelo dire. Mi interessa solo capire cos'è che mi tiene davvero incollato qui. Cos'è, ecco, che mi impedisce di tornare a casa e provare a dormire. E lo so, di solito non dormo un cazzo, ma questo non significa che io debba sprecare il mio tempo a zonzo.
    Già, a sprecare del tempo.
    Ma tanto non deciderei. Non prenderei davvero la decisione di andarmene così come quella di restare. Immagino di voler restare in bilico. Un po' sospeso nel nulla a contemplare i sotto intesi. Tutte quelle cose che Joshua non mi permette di leggere e che, probabilmente, non mi concederà mai. Perché ha senso così e io sono solo un cliente. Un cliente con un quarto di sangue del cazzo che evidentemente deve farglielo venir duro.
    Lo ha detto, anche se per sottintesi. Lo ha detto che sperava nell'anticipare di una sera insieme. Come se non fosse stato in grado di pensare ad altro, proprio come un ragazzino. Il ragazzino di cui si vanta, tronfio, stupido.
    Ma mi fa sorridere.
    E non dico un cazzo perché il mio compito, almeno in questo tipo di relazione è solo questo: ascoltare, sorridere e cercare di trovare gli incastri perfetti da adesso al prossimo turno di lavoro. Ho promesso ad Esmeralda che andrò a trovarla domattina prima del turno. E non dormo molto, non sono abituato. E l'orgasmo maschile dura tra i cinque e i dieci minuti. Con un periodo refrattario che va per i trenta minuti, sicuramente ho modo di concedergli più di cinque minuti della mia attenzione.
    Ma fantastico restando sul mio. Stupidamente. Perché dei ragazzi non ci ho mai capito un cazzo.

    — Come vuoi, tanto avremo altre occasioni, faccia da criminale scherzo. Cioè, ci provo. So di non essere il campione in queste cose. Che ho smesso di far ridere Nicholas già da troppi anni, ma mi vien fuori così. In un sorriso sgambo, goliardico, che accompagna la spalla contro la sua. Flirtare, per quanto sia stupido dirlo, mi piace. Mi piace anche quando sono bravo e se riesco a scopare è solo perché c'è della veela in me. Non so nemmeno se adesso ho voglia perché capisco di piacergli e allora resto lo sfigato del cazzo che immaginavo o se, perché, questa faccetta da ragazzino un po' mi risveglia qualcosa.

    — E una denuncia è diversa da un arresto. Avrei avuto la scusa per tenerti sott'occhio. Sarebbe stato carino solo per quello. La mano gliela faccio scivolare sulla spalla, stringo piano, in quella che dovrebbe essere una stretta amichevole. — Comunque è davvero sconveniente dover badare a queste incombenze quando avremmo potuto anticipare la cena. Faccio salire la mano verso il collo, gli sistemo inutilmente la maglia giusto per capire com'è che il gioco possa piacergli. — Non batti i piedi come là dentro? Mi riferisco a prima, quando comunque aveva tutte le ragioni per rompere il cazzo a Mia. — Durante l'addestramento ci hanno insegnato come fermare le rivolte... Uno sfiato. Non mi guardo intorno quando posso lasciar scivolare il mio sguardo nel suo. So che non c'è nessuno: non sento nessun'altro.



     
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    Il fatto è che io sono davvero un criminale. Anche se quando mi chiama così sembra una carezza la sua. Un invito al gioco, una mano tesa pronta a sottrarsi all’ultimo per innescare la caccia.
    Come cazzo faccia a sapere che questo è esattamente ciò che piace a me, non lo so. Non può leggermi, non può vedere nulla se non le reazioni del mio corpo. Gli occhi che si schiariscono appena, la pupilla che si dilata - ma lo fa con calma - come se avesse bisogno di capire di quale luce sia fatto Riley. Io non mi oppongo alla ribellione dei miei brividi, che agiscono come degli stupidi e pizzicano dietro la schiena.
    Come in quei documentari che a Remì piacciono, quegli sugli animali di Discovery. Io sono uno di loro, uno a cui si rizza la pelliccia lungo la colonna vertebrale e dopo si fa completamente ispida. Un dannato anemone nero che al passaggio dello squalo diventa all’improvviso di un azzurro impossibile, così da spaventarlo. O, nel caso di Riley… attrarlo?
    Dio se voglio che perda quel contegno che sembra avere, voglio veder vacillare appena quella sua sicurezza, solo perché così è fin troppo facile per me sentirmi… a mio agio. E non è un cazzo normale che accada tanto in fretta con uno sconosciuto, uno che è particolarmente pericoloso per i miei affari, per chi sono e per cosa faccio.
    C’è una ragione per cui prima battevo i piedi, per cui mi sono impuntato con Mia, con le sue idee un po’ campate sul buon cuore della gente.
    Ce l’ho un cazzo di buon cuore io. Ma non funziona come quello di una stupido cartone animato. E comunque non voglio che nessuno mi faccia da balia, che nessuno mi segua per la mia “sicurezza”, impedendomi di essere ciò che sono.
    Non sarò un cazzo di genio del crimine, ma quello che sono ben si sposa con le ombre dietro i miei occhi, le luci che non si riflettono.
    Eppure vibro lo stesso, al suo lento avanzare “amichevole” a cui non credo neanche per il cazzo, cerco di rispondere con un briciolo di calma, con le fusa lente di quel gatto che ho a casa, e gli occhi restano uno specchio per la fottuta anima.

    Nilufar diceva sempre che quello con il muso in casa ero io. Non lei, non mamma, né papà. Ero io la bestiolina di casa, il cane, quella creatura che ogni tanto perdeva il concetto umano e si comportava da piccola bestia. Ferale, così diceva. Magari è la fortuna di non avere ereditato il Maledictus ma solo i tratti di mia madre.
    Come ste cazzo di fusa che escono quasi come un ringhio quando la sua mano scivola lungo il collo, per sistemare una maglia che so già essere perfetta. Lui vuole toccarmi.
    Piego il collo solo perché lo raggiunga meglio, senza mai distogliere lo sguardo. E' una sfida a leggere l'impossibile, a continuare a scontrarsi contro un muro e volerlo fare fio a sanguinare.

    Tenermi sott'occhio, avevo ragione a pensare che avresti cercato rogne come un segugio. Sicuramente me ne procurerà, lo so, ma mi esce come un cazzo di complimento, e so già il mio fottuto istinto cosa mi dice adesso. Mi dice che potrei farmelo in piedi, qui, in questo istante per come corre l'elettrica lungo una sola presa. Mi dice che la mia mano - opposta e speculare alla sua - sale lungo il suo fianco e lo sfiora con la stessa attenzione che lui dedica a me.
    — Non hai idea... scandisco lettera per lettera in un sibilo lento come il suo — ... di quanto io sappia ribellarmi cristo se ci sto provando, in respiri che un po' mi spezzo da solo ad immaginare fin dove potrebbe già spingersi con me, e con quanta cazzo di foga gli morderei questa stessa mano con cui mi nutre.
    — La mia pozionista sta dormendo, è un vero peccato mettere in pausa queste incombenze almeno fino a domani, mi chiedo che cazzo farai stasera. Con un ghigno, me lo chiedo con il cazzo, lo stesso che sta diventando duro tra le mie gambe. — O almeno fino all'alba.



     
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    Nel sentirlo Emily andrebbe su di giri. Sarebbe la prima a rendersi conto di come l'odore della sua pelle sta iniziando a cambiare. Di come i suoi battiti accelerino di qualche passo perché questa è una delle reazioni spontanee al desiderio. Nel sentirlo, Emily si affretterebbe nel fermarlo: perché non è con l'eccitazione che so tenermi a distanza dalla cocaina. No. Il desiderio ne aumenta il bisogno, perché il cervello finisce per reclamala in un'abitudine che è dura ad arrestarsi. Per questo non scopo mai con nessuno. Perché scopare è come farsi una striscia. Una botta così forte da rendere l'orgasmo l'ennesima dipendenza. Ed io sono debole a queste cose. Così debole che nella masturbazione - che devo in altrettanto modo contenere - ancora penso a Nathaniel. A quel pompino nella sala da musica. Le sue cosce adolescenziali tirate dalla posizione. La forma perfetta dei muscoli delle sue gambe. L'amore, per come l'ho vissuto sino ad oggi, è una maledizione.
    Anche se poi mi ha dato Esmeralda ed un ragazzino a cui darei la mia stessa vita.
    Ma sorrido quando Joshua mi da spago. Quando mi basta tornare con la mano sulla sua nuca per ritrovarmi a respirare il suo stesso respiro. Come se vi fosse un tasto da premere. Quello che da il via al tutto. Al viso che avvicino al suo. Naso a naso, come se fosse normale arrivare a giocare in altrettanto modo. Fortuna che Emily è a casa. Sentirà il suo odore solo a giochi fatti.

    — Quindi venire qui è stata solo una perdita di tempo.
    La sua pozionista non sta dormendo. Io non credo nemmeno che l'abbia contattata. Quello di cui sono certo, però, è che mi diverte sorridergli ad un palmo dal muso. Perché una parte di me è ancora quel ragazzino di sedici anni che si chiudeva in aula di musica nella speranza che un povero stronzo aprisse quella porta per sedersi finalmente sul mio stesso sgabello. Una parte di me finisce per dimenticare gli impegni quando invece dovrebbe restare sul pezzo e scalpita, sì, perché finalmente crede di avere incontrato qualcuno di tanto affine.
    La cocaina sapeva darmi questo.
    Le persone come Joshua le ho tenute lontane per una vita.

    — Almeno sei più tranquillo. Corro con la mano sul suo petto. Il palmo che racchiude bene il suo cuore. Non si sente come quando si prendono le pulsazioni dal polso, ma più o meno l'effetto che si sente è lo stesso. Sarebbe diverso se fosse nudo. — Poco più di 70 battiti al minuto non sono ancora niente. Di solito se ne raggiungono almeno 120 al minuto durante il sesso — Non credo sia ancora affar tuo quello che farò. Adagio tutte le dita sul suo petto prima di azzardare una smaterializzazione. Non si spezzerà: vuole sinceramente starmi incollato al culo. — Non ti conosco ancora così bene da raccontarti certe cose. Con la stessa mano lo spingo contro il primo muro disponibile. È solo il retro di una casa poco più in là rispetto a dove ci trovavamo prima. Solo che qui è più appartato. Solo che a quest'ora la gente ancora dorme e io non sono nessuno.
    Per questo lo bacio: perché un po' di eccitazione non farà male. Perché se non vuole farsi pagare per essere qui, questo comunque resta una piccola ricompensa per entrambi. Per il disturbo. Per tutto questo tempo del cazzo che inevitabilmente dovremmo passare insieme al di fuori delle mie sedute. E il bacio è caldo, un ricercar di labbra ad occhi chiusi come se fossi ancora quel ragazzino che ha appena fatto un passo oltre l'aula. Bacio ad occhi chiusi perché se devo sentirlo allora voglio farlo con ogni senso. Così come col tatto ricerco la sua erezione. I suoi battiti già accelerano. Si sente dal suono che emette respirando. Lo percepisco dalle sue labbra schiuse.



     
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    Ahi... una perdita di tempo. Ferito, ma neanche per il cazzo, rimarco solo per infastidire, per giocare. Che per una cazzo di volta non voglio pensare a quanto ogni giorno sia difficile. Adesso voglio Riley.
    Cassandra non sta dormendo, ma di Cassandra non mi importa. Io voglio giocare con Riley anche a costo di spingermi in qualche bugia bianca che - quasi - voglio scopra. Voglio che capisca chi sono quando per dimostrare qualcosa mi muovo per primo. Gioco come un gatto anche quando mi fingo un cazzo di cane, di quelli infetti di rabbia e lasciati agli angoli dei magazzini del molo. Quella alla catena, buoni solo ad abbaiare ai passanti. Quelli che hanno la bava alla bocca perché così tengono alla larga chiunque. Ma poi basta un tozzo di pane o uno strappo manzo tirato giù da una carcassa per ammansirli, e diventano docili.
    Allora si può guardare meglio quanto è stretta la catena. Si può vedere i filamenti del pelo rovinato lungo il collo, e quella zampa zoppa lì dietro che non esce mai dalla casetta in amianto. Si può vedere quanto sia corta la catena, coperta di sangue, come i fianchi strappati in carne viva. Allora magari hanno la rabbia e li lasci lì, perché sono cresciuti per questo ed in quello marciranno.
    Ma io sono quel tipo di cane. Io la catena l'ho spezzata ma a volte la rivoglio, rivoglio un cazzo di ordine nella mia vita. Voglio sentire un "no" che esplode nelle tempie e mi costringe a metà.
    I miei sono i ringhi d'eccitazione, la mia è un'anima che crepita come fiammelle invadenti quando Riley mi tocca. Le sue dita dietro la nuca reclamano una presa che io esigo.

    — ... le mie labbra si schiudono, il mio respiro lo sfiora, potrei azzardare, ma la mente si svuota anche delle battute più stupide o stronze.
    Voglio che stringa di più, perchè questa è solo una carezza. Questo è un preludio ed è una cazzo di danza. Avvicina il muso ed io scopro le zanne, lo voglio vicino al punto da confondere il mio fiato con il suo, e non può più dirmi adesso che non vuole. Io non gli crederei. Io non credo mai a nessuno, non mi fido mai di nessuno. Ma se lui mi tiene in stallo gli posso far sentire come i muscoli scalpitino, come il cuore sia sotto controllo, si, ma per una cazzo di ragione.
    Io non posso vivere a centocinquanta battiti al minuto, smetterei di respirare, ma Cristo se ogni sua parola mi lasci brividi che spingono contrapposti al suo contatto.
    La mano calda contro il petto mi fa muovere quasi verso di lui, mi fa azzardare un morso che non va a buon fine perché mi spinge indietro. E Cristo, Cristo se adesso si è fottuto con le sue stesse mani.
    Ho morso a vuoto solo per essere sbalzato indietro, con le spalle a impattare un muro. I miei occhi aperti nei suoi, assottigliati per giocare meglio. Con quel ghigno che ricambia l'assalto in corso. Lui sa giocare con me.

    Alla stronzata che non mi conosce abbastanza, rimediamo adesso. Ora che lo incontro, che quando il suo bacio arriva dove voglio io, ricambio con foga, con fame. Le mani lungo il suo collo, il fianco, il muso, voglio sentire come cazzo respira baciandomi. Ricambio anche quando toccandomi sa già di trovarmi. Lo sa che - da bravo adolescente - io sono già in tiro per lui, e sul suo polso fermo la ma mano, perché non gli venga di togliere la sua da lì. Non glielo dico che ci ho pensato mentre mi toccavo ieri notte. È una morsa, il solo potere che mi resta. Che nel bacio ansimo, torno un cane ad occhi chiusi. Ma dio, dio se non mi aspetto il nodo allo stomaco e l'agitarsi forsennato dei miei nervi tesi, non mi aspetto il fottuto calore che mi prende, come se mi avesse appena dato fuoco al petto. Ringhio, e lo guardo, staccandomi mezzo secondo con la sola cazzo di promessa di continuare, di baciarlo io con più rabbia.





    Edited by Jossshua - 10/3/2024, 22:11
     
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    — Sì che voglio farlo, Nate.
    Il cuore non era mai pulsato così insistentemente. Con una mano tenuta tanto vicino al petto solo per accertarsi di star bene, il serpeverde s'era piegato sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza. Lo aveva sempre desiderato e non perché fosse della sua stessa casa e quindi, per un certo verso, costretto ad un certo tipo di fratellanza che, nel soffocarlo, lo avrebbe fatto godere. Lo aveva desiderato perché era il primo. Il primo a tenerlo sveglio la notte. Il primo a fargli male al petto. A costringerlo boccheggiante come un pesce immerso in una boccia con poca acqua. Costretto a nuotare a pelo perché quello era ciò che gli concedevano. Solo un misero spazio che potesse essere davvero suo. Il suo habitat naturale, così come aveva creduto potessero esserlo le gambe del suo compagno.
    E pigiando le ginocchia a terra non si era lamentato di quanto il pavimento di pietra potesse essergli duro: la sua attenzione era altrove. Sulle cosce dell'altro, che in un briciolo di iniziativa aveva preso ad accarezzare quasi come se non avesse mai visto pelle e peli in tutta la sua vita.
    Avrebbe voluto dirgli di amarlo: perché roba del genere non la si fa con chiunque. Non ci si genuflette così dinanzi al primo che capita. Ma stette in silenzio. Perché non si parla con la bocca piena e Riley voleva con tutto se stesso colmarsi del piacere che Nate, quasi come fosse un tesoro senza padroni, aveva deciso di concedergli.


    Penso stupidamente alle inclinazioni del caso. Al susseguirsi degli eventi che è sempre lo stesso. Ciclico, credo. Capace di non mancare nemmeno un rintocco. La vita è un orologio e non importa che io sia più vecchio di prima: il tempo del desiderio mi appartiene. E me ne compiaccio così come ho fatto con la droga, che è stata mia amica nel momento in cui la presenza altrui sapeva connotare solo e soltanto fastidi. Che io sappia amare non è un segreto: non mi nascondo solo perché sono un uomo e come tale devo essere inserito a forza nel mio lavoro. Proprio per questo non voglio che tutti possano finire per amarmi di rimando. E non perché siano artefici del medesimo gioco che viene fatto su di me: ma per la maledizione di un sangue che cambia profumi. Che stimola sensazioni più intense.
    Non vorrei esercitare questo potere su di lui, ma di rimando sento di dover rispondere a quello che lui stimola in me. Che è una sensazione che mi pervade dalla prima volta che l'ho visto in quel negozio: l'incarnazione di una finzione che non so non elaborare nei miei modi.
    Allora lo bacio di più se lui mi bacia di più. Tengo la sua schiena dritta contro il muro se la sua risposta è una presa che assomiglia al morso di una bestia. Allora mi infila denti e dita nella carne. Mi divora come se fossi il suo pasto e allora gli è bastato solo questo breve attimo di consenso per fargli snudare i denti. Ma non può dilaniarmi. La mia pelle mi appartiene, così come i segni che vi inciderà su quando, staccandomi in uno scossone fisso lo sguardo nel suo.

    — Che cazzo fai. Sorrido. Non è nemmeno una domanda, ma semplicemente il modo stupido che ho di dirgli che il controllo ce l'ho io. Perché sono io quello che riesce a separare i due tipi di attenzione. Io quello che può scoparlo e allo stesso tempo star attento a cosa cazzo potrebbe scoprirci. Che non voglio ci scoprano. Non voglio che ci vedano, che si rendano conto di quanto siamo stupidi, incoscienti, soprattutto quando negandogli un bacio comunque gli tiro giù i pantaloni affinché parte della sua pelle sia mia.

    — Non sono il tuo fidanzatino.
    Non quando posso tornare in ginocchio. Pregare il dio della perdizione, espiare così i miei peccati. Ad un palmo da lui, con la mano a stringerlo, per segarlo meglio, per tenerlo sull'attenti. Pronto, scattante e rendermi conto che per quanto mi piaccia parlare, adesso non ho più voglia di farlo.



     
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    Fallo. Fallo cazzo. Tirami via mentre ti bacio, prima che la voglia che ho mi renda dolce, morbido, gentile nell'intrecciarsi di labbra che vanno solo morse. Tu vai affrontato come stai affrontando me, è-.. è questo che vuoi?
    È una vampata figlia dell'umiliazione. Io non ho mai avuto un fidanzatino. Non ho mai voluto qualcuno che stesse con me solo perché ne avevo bisogno. Io non avevo tempo, cazzo. Non potevo perché ogni anno che passava era un anno in cui non stavo trovando la cura a mia sorella. Quindi si, cazzo se mi sono scopato chiunque ho voluto, ma non ho mai fatto più di questo. Scopare, stare un po' bene assieme e poi basta, mi frenavo. Certo fino ad Eliphas.
    Anche lui non è il mio fidanzatino, ed è fottutamente chiaro, fingo solo che lo sia quelle cazzo ti volte in cui ci vediamo perché risponde alla mia fame con la stessa forza. Perché la testa me la tiene ferma prima di aprirmela contro un muro. Ed è per lui che lo stomaco brucia. Fino ad ora non lo ha fatto per nessun altro.
    Quindi lo realizzo da solo che cazzo significa questo bacio quando Riley si stacca da me. Lo sento come mi inchioda al muro e la rabbia gioca con la sua imposizione, con il suo modo di stringere le redini e farmi guardare avanti.
    E tanto dove cazzo andrei? Non riesco a separarmi dalla presa con cui mi abbassa i jeans, dalla mia pelle che pizzica al fresco della notte.
    Del mio essere duro per lui, del ghigno con cui rispondo al non essere il suo fidanzatino a sua volta.

    Che cazzo faccio? Ho fame Riley. Ho sempre fame, sono un vampiro nato nel corpo di un umano, un povero coglione che si è spinto fino ad essere uno sciamano. Ma gli spiriti e le ombre non sono niente se ti inginocchi. Così sì che il petto sobbalza, sì che mi rendo conto di quanto per un fottuto secondo io su quel "fidanzatino" ci abbia pensato. Ma questa è la fortuna che ho nel sapere che non mi leggi, che posso perforarti e che quando ci guardiamo se rispondo con un ghigno cancello tutto sotto la sabbia.
    Ma la sola idea che tu abbia le labbra così vicine a me, aumenta l'eccitazione. Non ci sarebbe neanche bisogno della tua mano per tenermi attento e sicuro. Spingo la nuca contro il muro, chiudi gli occhi per il fuoco, in attesa di sentire come intendi rimarcare i tuoi spazi su di me. Mordimi, cazzo Riley. Mordimi tu prima che i miei denti trovino il modo di raggiungerti. Che cazzo faccio? Ti dico dov'è che ti voglio e come, e quanto. Cazzo quanto, adesso.
    Una mano me la passo trai capelli, stringo forte e torno a guardarti, ti sfido a farlo con gli occhi nei miei.


    — No, n-non lo sei cazzo. Nessuno lo è mai. Esalo, quasi, in un ringhio che trasuda il niente che posso stringere tra le mani, il nulla che mi scivola lungo le dita.
    Il mio corpo è pronto, ti reclama cazzo, lo vedi? Guarda l'effetto che fa anche solo il tuo respiro, che anticipa un bacio diverso, uno che di cui forse ho ancora più voglia.

    Non sarai il mio fidanzato, Riley, ma ti comporti come quelli che portavo con me ai balli della scuola, con cui poi finiva da così a peggio. Calmami ancora se ci riesci.





     
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    Faccio ciò che so essere bravo a fare quando mi convinco che è così che si detiene il controllo. Per una fortuita inversione dei ruoli. Un momento che all'esterno può sembrare crudele ma che io vedo come il giusto spiraglio per affondare una presa che già in pochi giorni è stata in grado di farsi salda. Joshua mi appartiene già dal suo primo respiro. Come un figlio che si forgia tra carezze e le mie dita gli danno forma come fosse creta. La sua gioventù sa farmi bruciare il petto in un modo così malato da spingermi ai sensi di colpa.
    Colpe delle quali mi lascio avvolgere nel momento esatto in cui le ginocchia affondano nella terra e io smetto di desiderare un perdono diverso da questo. Il mio messia, se avessi modo di idealizzarlo, avrebbe i suoi occhi oggi. Quelli che cerco in un moto di orgoglio quando incastrandoci i miei lo sfido a mantenere ben saldo il contatto. Affinché mi guardi prostrarmi meschinamente ai suoi piedi e s'illuda di essere il padrone di qualcosa sopra il quale già detengo il potere da troppo tempo. Non voglio soggiogarlo, né sfruttare i miei doni in virtù di un comodo che resta solo mio, ma adesso non riesco a fare a meno di volerlo per me. Di sapere con certezza dove e quando trovarlo. Perché dopo questa sera ce ne saranno altre e, nonostante il gioco, io ho tutta l'intenzione di mantener fede alle mie promesse. Anche a quelle che non pronuncio e do per scontate in un affondo che mi vede avvolgere totalmente la natura del suo piacere. Ne assaporo la pelle, lascio che il profumo mi inebri e proprio come un cane, prendo memoria del terreno che sto calpestando. Per una questione di abitudine. Semplicemente, ecco, per mantenere il controllo.
    E non mi importa di cosa può dirmi, né di cosa penserà quando tutto questo sarà finito e io sarò via da qui.
    Sono pronto a delle carezze che non elargirò questa sera. A strette che sono solito concedere solo a chi mi è davvero vicino. Perché sì, non saprò limitare l'amore, ma questo non significa che so darlo erroneamente a tutti. Sono poche le persone meritevoli e io spero che Joshua possa presto farne parte. Lui e suo figlio, perché in me è insito il bisogno di proteggere e anche se oggi non lo stringo, io so di essere così volubile da sognare momenti in cui terrò la sua schiena contro la mia. Tutto questo da un fottuto pompino che sa darmi alla testa. Che mi da conferme laddove non ci sono parole a confermare fatti. E sogno, perché di sogni son fatto e perché sino ad oggi aggrapparmi alla realtà non ha fatto altro che ferirmi. So bene come ciò che sono sia parte di un processo che ho elaborato ed accettato nel tempo, ma questo non vuol dire che io sia davvero felice di essere ciò che tanto difendo.
    Come dicevo, difendo per istinto.
    Perché ho paura che ciò che è mio mi venga portato via.
    Perché forse sono geloso e non so ammorbidire certe prese. Non è nella mia natura.
    Per questo mordo, affogo con non poca gentilezza, perché come un cane mi affretto a mangiare quanta più carne mi viene offerta. Non condivido, non mi hanno insegnato a farlo e se questa non è la torsione allo stomaco di cui parlano i veterinari, allora sono davvero le cazzo di farfalline su cui le ragazzine tessono desideri.



     
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    Cazzo, Riley. Non è questo che ti ho chiesto, non ho pensato che ti saresti inginocchiato qui a tenermi il ventre come se fossi una coppa ricolma di fottuta ambrosia. Io non so che cosa mi trascina costantemente da te, ma questo cazzo di bacio neanche doveva finire. Mi vengono i brividi a pensare che adesso le tue labbra stanno andando altrove, stanno scendo verso lidi che troppi hanno esplorato. Eppure adesso è come la cazzo di prima volta.
    Magari il ragazzino del ballo sono io, che per la foga di farmi fare un pompino dalla più bella della scuola mi metto in tiro e mi lavo fino a farmi venire l’orticaria.
    Perché questo mi sembri, non so vedere la mia dominanza neanche nel ricercare una presa lungo la tua nuca. Lì dove stringo i capelli tra le dita mentre mi sforzo di rispondere alla tua sfida.
    Mi sforzo di guardarti quando il primo affondo mi dà i brividi.
    Quello che so io, Riley, è che è come scopare guardandosi negli occhi, lo fai quando senti qualcosa di talmente profondo da volere una connessione più profonda, così vengo prima, così mi eccito come un cane del cazzo.
    Come se tu fossi costantemente in calore: ecco cosa sento. Sento che mi chiami, mi attiri, sento che il mio respiro si fa roco ed il mio bacino si muove in affondi che scavano ringhi.
    Stringo i denti anche se vado piano, ché voglio godermi anche le più piccole sbavature. Voglio tutto, anche il tuo fiato sul cazzo. Il calore delle tue labbra, la tua cazzo di bocca. Mi stai mandando ai matti e la sfida l’ho già persa.

    Chiudo gli occhi, vittima di una volontà che non sa vedermi come carnefice, non riesco a ribellarmi così, non se mi dai quello che voglio e allora mi smentisci di nuovo. Lo sai meglio di me, l’hai capito prima di me. Che divento duro come il marmo nella tua bocca. Non potrei fare diversamente.
    Adesso col cazzo che vado a 70bmp, penso che questo sia di più, penso che tu mi farai impazzire e mi ricorderai quanto cazzo sa cavalcare veloce il mio cuore.
    — Dio- Riley… cazzo.. Non riesco a tenere chiuse le labbra, le schiudo in ansimi che mi fanno tendere i muscoli.
    Sento la tua fame, lo so che cazzo provi, dio mi vuoi così tanto? Cristo non lo pensavo, credevo sarebbe stato perfino difficile strapparti un bacio, e tu invece ti stai prendendo tanto di più.

    L'altra mano ti arranca lungo la spalla, ti stringe la clavicola in una morsa, io che ringrazio che in sta casa non ci sia nessuno di sveglio, perché cristo se è dura contenere i gemiti quando tu sei così affamato. La mia sola ribellione è questa, stringere gli occhi senza fiato, godendo di ogni piccolo affondo e di tutta la tua fame. Così non mi stai chiedendo di avere pietà e non ne stai avendo a tua volta, ed io sento che sto per impazzire. Magari lo senti anche tu.




     
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