Beautiful Things

Riley & Josh

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    Non sono figlio dello svago. Un amante incondizionato delle attese. Non sono nemmeno uno che ama il relax, i momenti passati a bivaccare alla ricerca di quei dettagli che agli altri tanto piacciono. Forse non sono uno di quelli che la vita sa viverla davvero. Come vorrebbe, ad esempio. Sono uno di quelli che agisce per come si dovrebbe ed è sempre stato questo, purtroppo, ciò che ha mandato avanti il mio mondo. Le cose oggi di certo non sono cambiate. Non c'è motivo di allarmarsi per quello che sto facendo. Niente stranisce davvero, non il profumo che indosso, né gli abiti che sono stati scelti più per la loro bellezza che per comodità. Alla fine, è solo una cena. Una cena che però non dovrebbe rientrare nemmeno in parte nei miei piani lavorativi. Una cena che, per un certo verso, non vorrei finisse come come ce l'aspettiamo. Perché gli imprevisti, a volte, sanno affascinarmi e forse è proprio con questo desiderio che finisco per muovermi. Il desiderio di ritrovarmi immerso nell'ignoto. In tutte quelle cose che comprenderei se avessi una mente più attenta. Se tenessi gli occhi aperti sulla razionalità piuttosto che nella fantasticheria.
    Che il sorriso sul viso mi rimane stupidamente su.
    Anche quando infilo la pettorina a Emily e le dico che se vuole venire con noi deve fare la brava. La brava, quando è lei, in realtà, la bestia più docile tra i due. Lei che manda avanti questo mondo folle. Che lo gestisce per me.
    Per questo oggi la sua presenza è importante: lo penso mentre stringo il suo guinzaglio. Mentre cammino per strada e continuo a sorridere come un ebete. Perché io lo so che effetto saprebbero farmi serate come queste. Ricordo bene a cos'è che ho rinunciato anni fa quando ho scelto la vita alla cocaina e, con lei, ho cacciato via ogni svago che mi venisse facile considerare tale. Che poi, alla fine, il fatto che siano passati degli anni sa sembrarmi solo a me. Io il tempo non lo conto come si dovrebbe. Nonostante le mie routine, non sono un matematico affidabile. Per quel che mi è dato capire, io discrimino gli anni pensando a mio figlio. È lui lo scorrere del mio tempo. I giorni sul mio calendario. Il motivo per il quale a volte lavoro troppo e altre, invece, cerco di riscoprire me stesso.
    E adesso non so bene a cosa penso: non ci sono immagini che, nonostante tutto, sanno affollare la mia mente. Immagino solo che sedendo a quel tavolo parleremo del motivo che ci ha spinti qui: che sono sempre motivi lavorativi e che, a modo loro, appunto, faticano a prescindere dal resto. Forse parlerò di Nico, magari gli chiederò di Remì e in tutto questo, io so bene come Emily se ne starà buona ai miei piedi. In attesa, sì, del momento esatto in cui il mio umore sarà su di giri e allora spetterà a lei calmarmi.
    Però poi capisco. Mi faccio un'idea chiara di cos'è che non sembra trovare un punto d'accordo nella mia testa. Ed accade quando volto l'angolo e allora lo vedo in attesta verso l'entrata. E no, non si tratta dello stupido pompino di ieri. Non sono un ragazzino e per quanto il sentimentalismo debba in un qualche modo essere stato parte della mia vita, non è l'emozione, ecco, quella cosa che subito mi coglie quasi alla sprovvista.
    Ma è il ricordo delle parole di Esmeralda. Il tono con cui mi ha chiesto o almeno, mi ha reso partecipe del suo volerlo conoscere. Vuole conoscere Joshua e questo, forse, non è solo perché ho deciso di farlo lavorare per me.
    Forse è di me che non si fida più come prima.
    Forse è per tenere in un certo senso tutto sotto controllo. E questo mi lusinga. Soprattutto quando alzo una mano in sua direzione e lo saluto. Non trattengo i sorridi, d'altronde me lo sono già ripetuto più volte: non sto lavorando adesso. Non devo, almeno.

    — Hai spaccato il secondo. Una nota di merito: mi piacciono le persone puntuali, mi fanno sentire così importante.



     
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    Sono uno stronzo perché non so farmi attendere, Riley. Non ho solo spaccato il secondo, io sono qui già da dieci minuti. Un po' perché volevo guardarmi intorno, un po' perché non so tenere fermi i piedi quando ho voglia di fare qualcosa. Sono riuscito anche a sbattermene dei sensi di colpa - più o meno - quando Mimì mi ha abbracciato prima che uscissi, e gli ho promesso che, per farmi perdonare, potrà venire a tutti i miei concerti che vorrà. Un padre responsabile, eh? Sicuramente non uno dei migliori in giro.
    E non è che il mio sia un cazzo di pensiero fisso su quello che mi hai fatto ieri, anche se non ti dirò che la mano mi è scesa stamattina nel ripensarci. Non so se è una di quelle serate, con te. Non riesco mai a capirti fino in fondo, e questo mi fa impazzire. Ma so cosa mi trascina qui più di tutto. Non sono ancora sicuro di volertelo dire, ma - quasi colpito dal tuo svoltare l'angolo - finisco per renderla evidente con un sorriso che mi trapassa da parte a parte. Fugace, sia mai che resti in muso troppo a lungo. Presente quanto basta per permetterti di vederlo su di me. E' un cazzo di accessorio, ché mi sono curato anche i cazzo di vestiti per stasera. Ci sono stato un po' a pensare, ché su ste cose io non ci rifletto mai. Come esco esco, e cazzi vostri. Ma non stasera. Dio, ho fumato perfino troppo mentre ti aspettavo, i miei polmoni stanno già collassando uno sull'altro, si reggono a braccetto come ragazzini ubriachi.
    Resto fermo qui mentre ti avvicini, faccio il mezzo passo che serve solo a spegnere l'ennesima sigaretta sotto la suola degli scarponi.

    E sono stato da Simone, le ho detto che cosa mi serviva, sono stato fottutamente bravo a mantenere il segreto professionale. Cristo, come se dovessi farmi vedere bravo da te. Ma chi sei, Riley? Perché cazzo mi importa così tanto di te e di quello che pensi?
    Lei mi ha dato quello che ci serve, ma io non ti voglio dare un cazzo adesso, non voglio che - portandomi dietro le scorte - tu possa annullare tutto perché all'improvviso avrai già quello che ti serve, e quindi addio rivedersi. Mi hai detto che volevi, no? Mi hai detto che volevi rivedermi, e cazzo se sta cosa ha saputo scavare. Non che non ci siano stati altri prima di-... beh comunque, 'sta cosa m'ha fatto dormire bene, quindi grazie?
    — Incredibile per un criminale che non ha dormito la notte mormoro nel sorriderti una seconda volta, come contrazione involontaria della faccia da schiaffi che mi ritrovo, ti guardo meglio.
    Punto ben bene gli occhi nei tuoi e poi, lento, apro un palmo verso Emily Ciao ragazzina non ho paura di lei, non quando ho capito che finché non le dirai di azzannarmi alle palle, lei non lo farà. La guardo solo per vedere le sue reazioni, ma poi cazzo torno qui da te - come se non fossi andato da nessuna parte, né oggi né ieri.
    Cazzo se ho voglia di godermi questa serata, come se fossi un ragazzino con i battiti accelerati e la voglia di quest'atmosfera del cazzo che hanno i Pub di Londra.
    — Tavolo per tre? ti affianco, infilo di nuovo l'accendino in tasca ora che non mi serve più.



     
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    Emily si fa accarezzare come fosse stupida come un Golden Retriever, uno di quelli da pubblicità che sembrano belli solo su schermo e poi, nel profondo, basta impartirgli i comandi giusto per far sì che ti stacchino via la pelle dalle mani. Ma lei è buona, perché un po' sciocca lo è e perché ci siamo allenati insieme affinché uscite come queste fossero vivibili anche fuori dai piani. E lei ha capito bene come starci a suo agio, anche se se ne resta sempre troppo attenta e lascia saettare lo sguardo in direzione di ogni odore che riesce a classificare. Il tartufo è sempre in movimento, le orecchie, benché sia stata indirizzata al riposo, sempre dritte in ascolto. Non si lascia sfuggire nulla, d'altronde le hanno insegnato ad essere la tata perfetta. A prendersi cura del suo bambinone.
    E scodinzola, composta, quando Joshua la sfiora. Così come sa scodinzolare a me lo sguardo quando subito lo lascio ricadere sulla sua mano. È istintivo: devo vedere chi sta accarezzando il mio cane e come lo sta facendo. Perché non è solo un cane. Non è solo bella da vedere. Lei è tutto per me. Un polmone extra, la stabilità emotiva di cui potrei aver bisogno se questa sera dovesse andare tanto male da deprimermi l'umore. Ma non voglio partire così negativamente. Quello che vorrei fare è davvero cercare di rilassarmi. Anche se non ne trovo mai il motivo, ma resta solo un problema mio.

    — Non ci avrai pensato troppo... Mi piego per accarezzare Emily a mia volta, un po' come per dirle: "vero, Ems? Joshua ci pensa". Ma ecco, Emily è un cane e certe cose lei non può proprio comprenderle, non è nella sua natura approfondire certi elementi semantici. Vorrei sentirmi dire da lui che ha passato la sera a contattare la pozionista. Che abbia ricavato in un qualche modo il ragno dal buco e fatto, non so, qualcosa di buono, ma non lo faccio. Trattengo queste cose per me, perché non siamo ad un interrogatorio e questa, lo ripeterò fino allo sfinimento, è una cena. Una cena tra due uomini. Ma una cena, nient'altro.

    — Un tavolo per tre sia. Sorrido. Mi piace che consideri il mio cane come una persona a se e non solo una bestia da tener vicino. Mi piace che ci si stia affezionando, anche se in un modo stupido e totalmente inutile. Perché non è detto che da una cena possa nascere qualcosa o che questo sia davvero il nostro intento. Neanche un pompino ha quella valenza. Lo sa bene Nathaniel che poi si è sposato e ha avuto due figlie. Lo sappiamo tutti com'è che vanno queste cose. Sono passeggere e magari trovano il tempo che trovano. E io, sinceramente, non ho motivo di impegnarmi qualcuno. Di volermi vedere così vicino a qualcuno che nemmeno conosco bene. Magari lui, per il lavoro che fa, già mi conosce meglio, ma non è questo il punto. Il punto è che credo di essere un animale solo. Forse non so stare con gli altri ed è per questo che con Esmeralda è andata com'è andata. Così come con suo fratello che, fortunatamente, nemmeno sento più.

    — Anche se avrei preferito lasciarlo per Remì Non voglio essere puntiglioso, non sono davvero quel tipo di genitore. Non di solito. Diciamo che al massimo so essere attento. Premuroso.
    Lo mormoro affiancandolo. Una mano che già scivola lungo il suo fianco. L'altra a tener stretto il guinzaglio di Emily.
    Non è detto che da questa serata debba uscirci qualcosa, ma so ancora com'è che mi piace giocare quando finisco per entrare nel modus operandi della situazione.

    — Sai già che prendere? Non mi interessa esser visto qui con un braccio lungo il fianco di uno. Non me ne sono mai preoccupato e non so, in effetti, se le cose cambierebbero con Esmeralda in presenza.





     
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    — Esiste un "troppo"? Innocente, ma nemmeno per il cazzo, lo chiedo ciondolandoti accanto, con quel sorriso che lascia passare la lingua trai denti. Affilo i canini per la cena, si fa così, vero Riley? O dovrei chiederlo ad Emily, che guardandomi esprime tutto lo scondizolio di questo universo, sembra che mi esponga come carne da macello. Sappi che non mi piego sulle ginocchia a stringerle il muso tra le mani perché la mia concentrazione è su di te. Altrimenti, per lei mi rotolerei nel fango.
    Ho sempre pensato che avrei avuto un cane, se non avessi avuto un figlio. E ci ho pensato.
    Cazzo se ci ho pensato, tutta la notte, per svegliarmi sudato la mattina. Per spedire Remì all'istituto prima di richiudermi nel mio cazzo di silenzio e lasciarmi andare. Ma tu vuoi saperlo, ed io non ti posso smentire un cazzo. Come se non sapessi che nella mia testa non puoi leggere.
    Che dici, ti manda ancora ai matti sta cosa? Potrei mentire, sicuro che la vuoi una cena con me? Quando tutto questo si traduce in sorrisi che spingo tra un passo e l'altro.
    E la tua mano la guardo anche io, quando ritraggo la mia da Emily perché sia tu - padrone di tutta 'sta situazione - a dare la parola finale, ad avere l'ultimo comando per lei. Non so ancora se sia il tuo cane da guardia, o solo una bestiola che hai finito per amare. Perché sì, mi sembri tutt'altro che indifeso. Ma cristo se mi piace quando ti presenti così. Mi basta riguardarti tornare su di me per accoglierti con un ghigno.
    Un cazzo di appuntamento, mh? Una cena, un qualcosa di non lavorativo anche se poi io qualcosa da dirti su Simone ce l'ho eccome, ma non adesso. Tutto nei miei cazzo di occhi richiama un "non adesso", per il lavoro - a cui non voglio pensare - ci sarà il dopo. Se mi darai fiato o se vorrai averne e prenderne boccate più grosse dell'altra sera.

    Ogni cazzo di cose finisce per diventare ossessivamente un'allusione a cui voglio aggrapparmi saldamente. Mi diverto così, ho diciotto anni, sotto sotto.

    Remì Ma tu sei uno stronzo, un maledetto, tu nomini Remì il momento prima di accompagnarmi per un fianco. La tua mano, Riley, che cazzo fai? Non mi irrigidisco però, anzi, qualcosa formicola dal punto in cui mi sfiori fino all centro della nuca. I miei ricettori li vorrei a cuccia per una sera, Cristo! — Vedremo, se mi guadagno una prossima volta ma non rimuovo il contatto, regolo il passo perché questo sia ciò che è: tu che mi tieni con un braccio lungo il fianco ed io che ti cammino accanto, come se fossi pronto a mordere chiunque osasse farsi domande. In realtà - non so se te ne sei accorto - stai accompagnando due cani a cena.

    Mi faccio strada come se non stessi vibrando ad ogni cristo di passo, ma non perdo nessuna cazzo di occasione per affiancarti, per farci dare un tavolo circolare in cui Emily possa stare bene accucciata sotto di noi, pur avendo tutto lo spazio per muoversi. — Credici o no, non ci sono mai stato qui... penso che andrò a sentimento, ma sono un carnivoro. Che può dirti tante cose, ma intendo che non sono vegano, né vegetariano, né tutte le altre stronzate del nuovo secolo.

    In qualche modo non ho voglia di spostarmi distante da te, non so che cazzo fai, ma solo i modi in cui ti poni mi invogliano a restare qui con te, ovunque cazzo vuoi. —Birra o vino?





     
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    Trovo impossibile non dargli un'altra opportunità, perché fino ad adesso non ci sono stati motivi per i quali abbia sentito il bisogno di tirarmi indietro. Forse il bello è proprio questo, il fatto che fino ad ora, pur non conoscendolo, io non abbia percepito neppure per un istante il bisogno di tenerlo distante. Non mi sono mai sentito fuori luogo o tanto estraneo con lui. Perché anche se la sua vita è palesemente diversa dalla mia questo non sa spaventarmi. Non mi irrigidisce, non mi fa affatto male. Così come credo non ci sia nulla di male nell'avvicinarmelo così seppur senza alcun tipo di premessa a concedermi ciò. È solo un dono che faccio mio. Qualcosa che voglio assolutamente trattenere per me quanto più possibile. Perché sì, il fatto che non sia io quello a negargli opportunità non significa che queste non possano venirmi tolte di mano. Sono forse troppo iperteso, ma sicuramente pronto a tutto.

    — Nessun troppo che sappia storpiare, in effetti. Gli eccessi non mi sono mai dispiaciuti e forse questo è sempre stato il problema di tutto. Quello che a modo suo è riuscito a strapparmi anni di vita. Quelli magari più importanti e per i quali a volte mi ritrovo a provare rimpianto. Non lo stringo, però, più di quanto dovrei. Piuttosto lo lascio rimbalzare tra i miei fianchi e la mia mano, avanti e dietro come se già stessimo ballando al suono di queste canzoni. Qualcuno già lo fa: è la prima cosa su cui lascio scivolare l'occhio entrando. Che mi abbia portato qui per stringermi a sé? Non so dirlo con certezza, anche se le interpretazioni giocano le loro carte.

    — E, beh, forse ci sarà già un'altra volta...che dici? Lo faccio sedere in un gesto galante che serve solo a me per divertirmi un po'. Non sono così antico, ma alla galanteria un po' ci tengo, soprattutto quando sento il sottinteso di dover esser io quello che tiene ben salde le redini della situazione. Magari voglio che, stupidamente, lui stia bene anche grazie a questi piccoli gesti. A io che gli sposto la sedia, a Emily che già è pronta a corrergli tra le gambe.
    Ma la sedia non gliel'avvicino, piuttosto vado a sedermi di fronte a lui aspettando che sia lui a mettersi comodo. Da solo.

    — Oh, quindi non lo hai scelto per chiedermi poi di ballare. Svelo già le mie carte e fingo di sentirmi offeso da questa scoperta. Anche se poi, pian piano, i muscoli tornano a rilassarsi. Lo si può notare senza porre nemmeno troppa attenzione. Almeno, insomma, le sopracciglia non sono più così aggrottate. — Questa sì che è una rivelazione sconcertante. Quasi quasi mi alzo e me ne vado... Con una mano richiamo a noi un cameriere. Ho un sorriso anche per lui, soprattutto perché mi sembra di averlo chiamato nello stesso modo in cui lo faccio con Emily. — Vorrei ordinare un calice di Pinot Grigio, per favore... poi guardo Joshua, in attesa che scelga senza troppa remore. Che ordini ciò che vuole, ci penserò io. Il Pinot ha un costo decisamente contenuto, ma è un vino buono, semplice.

    — Come va con il gruppo? Chiedo poi, guardando la gente in pista. — Non sono cose che solitamente chiedo, scusa.



     
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    Non pensavo che sarei mai uscito con uno sbirro del cazzo come te. E questo mi fa strano, spinge brividi dove dovrei solo starmene buono. Magari è la cazzo di fame che ho di mettermi nei casini, di fare qualcosa che non mi lasci mai statico, mai stabile. E forse non è quello che serve a Remì, un padre che sia sempre in cerca di qualcos'altro da mettere sotto i denti, mai pago di qualcosa che raggiunge. Se la musica avesse funzionato con me, avrei il cazzo di animo in pace adesso? Non lo so, ma ci sono notti in cui me lo chiedo, ed altre in cui mi basta che Remì stia bene per sentirmi centrato, a posto. e per ogni anno che passa lui, che cresce, io ne maturo il doppio. A volte li sento tutti i miei cazzo di anni, Riley. Ma anche questo non è qualcosa che posso dirti prima di aver bevuto, prima di aver visto come mi lasci posto.
    Non ti faccio le moine adesso, ma cristo non riesco a smettere di fissarmi 'sto sorriso in muso.
    La gente che balla là in fondo non mi preoccupa, ma non pensavo ci fosse, non con questa musica un po' del cazzo che - per fortuna - vicino al nostro tavolo è abbastanza bassa. Ho scelto un posto a cazzo, perché non... forse non mi va di incontrare gente che conosco, gente che potrebbe pensare che se io sto qui, Remì è solo da qualche parte. Gente che voglia farmi lavorare come se davvero fossi una puttana e non un cazzo di Obliviatore che lavora quando cazzo gli pare. E stasera io non intendo lavorare, Riley. Lo sappiamo.

    — Seh, eh? mi tengo 'sto ghigno che si palese, battuta dopo battuta. Non so che cazzo mi fai, ma il pensiero di vederti ancora, ancora, ancora, è qualcosa che mi risistema i nervi, che febbricola serpeggiando sotto pelle. Sento risalire ogni carezza che non mi hai fatto, e mi tengo stretto il ricordo di quello che, invece, sai fare. Ma alludo, perché lo so come cazzo sono fatto, io sono così, e se qualcuno mi prende tanto, non mi faccio un cazzo di scrupolo nel tenerlo per me. Appoggio la schiena alla sedia, mi metto più comodo quando già Emily è qui a richiedere una mia mano che le gratti appena il muso. — A Emily piaccio parecchio, fai scegliere a lei le persone con cui uscire? ma sto giocando, Riley, per una cazzo di sera voglio giocare anche io. E tu mi sembri conoscere i pezzi della scacchiera meglio di chiunque altro io abbia conosciuto.

    — Oh, ehi ma- ma lo so che quando fingi stai giocando anche tu, e mi viene da ridere, piano in un sorriso che si espande e mi richiede un gioco appena più realistico. Tamburello sul menù, ma ti guardo tutto il cazzo di tempo, anche quando fai il coglione con me. Cristo queste luci mi fanno un effetto strano, non ho ancora bevuto. — Per chiederti di ballare penso avrò bisogno di un po' di alcool in corpo, ché ti sorprenderà sapere che so girarmi attorno ad un microfono ma molto meno attorno ad una persona. Ma te lo dico ridendo, con il cameriere che si avvicina a noi, richiamato da te. L'occhiata alle birre l'ho data mentre sceglievi, ovviamente, il vino. Mi piace che ci confermiamo diversi anche adesso, anche qui cazzo.

    — E per me una Tarot Noir che è una birra di poco conto, acida alla ciliegia, come il diciottenne che sono. Mi piace quando mi stringe la gola con tutta quella cazzo di forza che ha. Per adesso, al cibo magari ci pensiamo dopo, che so bene come un mio ginocchio sia già qui a ricercare il tuo con un movimento che - per me - è naturale.
    Come va con il gruppo, mh? — Di merda onesto, perché non lo so. Perché cazzo sono così onesto con te, Riley? — Non che io intenda arrendermi ma chiaramente non sogno più come un adolescente, non con il gruppo almeno. Forse devo accettare che faccio musica di merda che piace solo a noi anche qui, si, magari il sorriso è appena più amaro, ma sta bene così, in fondo perché negare che ci fanno cantare solo in posti del cazzo, un po' come questo. Ma mi interessi, e mi avvicino appena lungo il tavolo. — Perché, di solito cosa chiedi? cerchi le risposte da solo?




     
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    Mi fa sorridere il modo in cui, ingenuamente, cerca di prendere i suoi spazi. Di esistere in questo macrocosmo che mi appartiene in ogni sua forma. Mi fa sorridere, ecco, il modo in cui si rivolge a me sfruttando la presenza di Emily, come se fossi un padrone che del proprio cane va così fiero da non veder l'ora di parlarne. Mi piace come, per forza di cose, tenda ad incasellarmi in stereotipi. A trovarmi un posto da cui potermi analizzare meglio. Mi piace che faccia queste cose. Che sia naturale e che come ogni altro essere umano venga mosso dall'interesse. Eppure questi sono punti che tengo per me. Perché non serve metterli in luce adesso, non quando continuiamo a sorvolare piano determinati discorsi. Ci piace punzecchiarci, penso che farlo sia intrinseco in chi prova un minimo di interesse verso un'altra persona ma per ora, ecco, credo ci resti solo questo da fare.
    Non perché non abbiamo inventiva, s'intende, ma perché determinate situazioni si sviluppano solo che piano. Con il passare del tempo. E se lui sa resistervi, se lui sa porvi pazienza, allora suppongo che potrebbe essere davvero quello giusto.

    — Emily sa vederci sempre il giusto. Puntualizzo dopo che il cameriere ha preso le nostre ordinazioni. Lo faccio con quel ritardo di cui si ha bisogno per creare suspense. E perché è carino, sì, ritrovarsi a dargli contro anche nelle cose più sciocche. punzecchiarci ci impedisce di cercare la comodità sin da subito. — Sapeva non avresti avuto il coraggio di fare una cosa del genere. Indico con lo sguardo le persone in pista mentre avvicino la gamba per far sì che tu possa trovare il mio ginocchio col tuo. Istintivamente, sì, a mia volta. — Ma le ho detto che non è un problema: d'altronde nemmeno io so ballare. Un'affermazione che serve a farmi riconoscere. A raccontargli un po' di me quando ancora non sono certo di quanto e come sbottonarmi.

    — Non credo che la vostra sia musica di merda, comunque.
    Me ne intendo: lo studio deve pur essermi servito a qualcosa e non solo a regalarmi un sogno, un'ossessione, l'unica cosa in cui sarei stato davvero capace per tutta la mia esistenza. — È solo per...giovani, in un certo senso il che non è non una cosa negativa, non ci vedo niente di male in questo. Ma è un dato di fatto. Anche il modo in cui si veste lui richiama una certa fascia di avventori e, di emulatori a seguito. — Un tempo l'ascoltavo anche io...mi hai riportato ai miei diciassette anni quelle sere in cui sono venuto a vederti, devo ammetterlo. Il cameriere torna e la prima cosa che faccio, oltre a ringraziarlo, è agitare il calice di vino tra le dita. Lo guardo. Alcune di quelle canzoni. Di quelle romantiche, da ragazzi, le ho dedicate tutte a Nate. Mentalmente gli ho suonato le migliori serenate della mia vita.




     
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    Il respiro di Emily è quasi impercettibile, le senti la coda muoversi solo perché un canelupo è grosso, e lei per quanto un'esile femmina, ingombra. Mi piace che sia un punto di mezzo tra me e te, che mi accetti - forse perché mi lusinga - ma cristo se ci metti il pepe nella ferita quando mi rispondi.
    Lei sa vederci sempre giusto, mh? E di quanti "sempre" parliamo? Uno, due, troppi? Non so essere più un geloso retroattivo, ma cazzo se sono geloso Riley. Ci pensavo venendo qui, anche se non sono un fottuto santo del cazzo, so che questa cosa mi prende più del dovuto. Che dovrei lavorare e basta con te, e invece accetto di uscire, accetto i tuoi pompini ed in qualche modo ti scelgo tra qualcun altro con cui potrei passare la serata. Con te non ho voglia si svuotarmi le palle e basta. Con te cerco un punto di cui non pensavo di avere bisogno. Cazzo.
    Ecco che cosa cazzo fai: credi un bisogno così puoi essere il primo a soddisfarlo. — Brava Emily
    Non ho davvero bisogno di ingraziarmela ancora, ma lei è qui e io non sono un fottuto insensibile, se mi chiede qualcosa so che sono già pronto a dargliela.
    A Remì piacerebbe, ma non ho voglia di volare così alto con i miei pensieri, con le mie idee. Sai quante volte mi sono trovato culo a terra perché ci ho sperato troppo? Anche recentemente.
    Ma tu non lo puoi sapere, non puoi capire su cosa ragiono anche quando mi parli, perché non puoi leggermi, sei quasi costretto a scoprire solo quello che di me voglio dirti. Cazzo se è bello giocare così. — Uno a zero per la danza, che ci sconfigge entrambi asserisco, stupido.

    Il tuo ginocchio si incastra bene con il mio, e non me ne frega un cazzo che a ballare tu non sia bravo, credo che lì ci finiremo proprio per questo. Dopo, che non ho fretta cazzo, non ho voglia di parlare di tutto quello per cui in fondo abbiamo messo su questa cena.
    Mi piace però che la mia musica ti abbia portato indietro, che fossi sincero quando mi hai detto che non era poi così male, anche se i tuoi suggerimenti non li ho voluti. Eri ancora una minaccia ora... lo sei, sempre, ma in modo diverso. Sei quel tipo di minaccia di cui so accorgermi per ogni passo che compio, e che non mi ferma dal venire lì lo stesso.

    — Cosa facevi con quella musica ai concerti a diciassette anni? Fammi vedere chi eri, Auror.

    Così, nel far tintinnare il mio bicchiere al tuo, ti lascio un cenno. Un sorriso che nascondo nel bicchiere, che tu mi hai sentito suonare anche ben altro, l'altra notte. — E' che la faccio da quando ne ho diciassette anche io, anzi erano quindici veramente e dovrei pensare di inserire qualche pezzo diverso nel mezzo. Quella non è la sola cosa che scrivo . So bene perché te lo dico, magari sono un cazzo di egocentrico, magari voglio piacerti, ma tutto questo è comunque vero, non ho voglia di mentire. —Te che mi dici del tuo talento invece? e non è quello di fare i pompini tra le case di vie del cazzo di Londra. — Non hai mai pensato di fare quello anziché lo sbirro? alludo ma senza quel disprezzo che ho avuto il primo giorno, quando la lettura su Remì mi aveva stranito. No, io voglio questo, Riley. Voglio che tu mi dica qualcosa di più. Ma non posso abbassare le difese perché ti prenda ciò che vuoi lasciandoci entrambi in silenzio.

    — Posso? allungo una mano verso il tuo bicchiere. Posso bere il tuo vino e sentire di che cazzo sa la tua bocca adesso? Ci giochi davvero a questi giochi con me?


     
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    Di base non dovrebbe servire, eppure di tanto in tanto finisco per ripetermi che ha senso che, una situazione del genere possa per un certo verso rivelarsi tanto tranquilla da stranirmi. Che la tranquillità in fin dei conti è normale e che ci sarà un momento, magari con l'avanzare della serata, in cui finirò per non rendermi più conto di quell'infinità di paranoie che sono solite prendermi alla testa. E se fosse lì, per un certo verso, con lui qui presente sarebbe molto più semplice. Perché in tutta onestà potrei guardarlo negli occhi, pagarlo e chiedergli cortesemente di strapparmele via. Una ad una, anche se non è uno psichico e il mio resterebbe semplicemente il capriccio di chi non sa andare avanti. Di chi a volte, semplicemente, si blocca. Per questo mi stringo al calice di vino, alla stabilità che le gambe possono ritrovare sulla sedia. Al suo ginocchio, che comunque a modo suo è un gancio. Un'ancora capace di tenermi ben stabile alla realtà. Cadenzo i respiri, do aria alle voci che si frappongono in testa e mi placo. Perché è normale e per quato possa sembrarmi terribilmente difficile, poi alle cose normali devo in un qualche modo tornare ad abituarmici.

    — Per tuo immenso e futuro stupore posso dirti che niente. Non facevo nulla ai concerti quando avevo diciassette anni. Sorrido. A volte ho l'impressione di sapere con precisione dov'è che vuole arrivare e in che modo ha la sensazione di poterci riuscire restando illeso o, anzi, nell'ombra. — Anzi, in realtà è una stronzata. Non potevo non far nulla. Semplicemente me ne stavo in disparte ad ascoltare. Sorseggio il vino. — Non avevo le aspirazioni dei ragazzini di oggi: niente fantasticherie sul gruppo, niente limone sotto al palco. Magari ero noioso già da piccolo. Sorrido, poso il bicchiere sul tavolo ma non mollo la presa. — Magari sono solo rimasto scottato da qualcosa, come tutti. Un azzardo. È solo un azzardo. Che di Nathaniel di solito non parlo. Non ne parlo mai a nessuno perché nessuno deve conoscere i sogni di un ragazzino. Nessuno deve venire a sapere come e dove attaccarlo. Come ferirlo ulteriormente nel profondo. — Che altro scri- Vorrei chiedergli cos'è che fa, ma quando il discorso torna di nuovo su di me l'argomento poi un po' mi spezza. Mi spezza dove stare ad immaginare in cosa so esser bravo e, anzi, se lo sono davvero. Se sotto la scocca nascondo qualcosa, se c'è del succo, la polpa, almeno un briciolo di vitalità e sentimentalismo. — Il mio talento? Basito senza alcun senso. Lascio che le sue dita si avviluppino attorno al mio bicchiere, che me lo portino via senza fare alcuno sforzo. Che mi comandi o almeno, che almeno oggi, si ritrovi a fare ciò che vuole. Qualsiasi cosa voglia. — Merlino. Ridacchio appena, nervoso. — Non credo tu conosca il mio vero talento.



     
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    Io so quanto queste ginocchia potrebbero essere un cazzo di aggancio. E le tengo qui, perché non voglio fare niente di diverso. Ed ho imparato, Riley, che la vita va come un cazzo di treno e non starò qui a farmi dire da nessuno come passarmela e quanto. E credo che tu non stia mentendo, anche se soppeso le tue parole, le cerco, le ricordo una dopo l'altra. Non riesco a distrarmi quando inizi a parlale e più lo fai, più voglio che tu lo faccia. Aspetto il momento in cui mi lasci prendere il tuo calice e sorridere a fior di vetro. Non ho fatica a pensarti agli angoli della stanza, ma non perché nessuno ti volesse, solo perché tu stavi bene lì, con tutto sotto controllo. Magari è sbagliata l'idea di te che mi sono fatto, magari ancora non so un cazzo, ma io so che quasi ci scopavo sotto palco. Io sudavo, lanciandomi trai ragazzini come me, scoprendo un po' tutto solo se avevo la musica assordante nelle orecchie, solo se potevo tornare a casa e addormentarmi con un ronzio a farmi da rumore bianco.
    La mia prima scopata è stata ad un concerto, è tutto quello che è venuto dopo, beh io non mi sono limitato per un cazzo.. con Adam, ancora dall'altro capo del mondo.

    — Si eh? Che tu sia noioso non riesco a pensarlo. Se fossi noioso io mi sarei già rotto il cazzo, no tu sei qualcosa che - in parte - anche io fatico a decifrare, ma quanto ste cazzo di luci ti illuminano, non vedo altro che te.
    Sono un coglione se voglio bermi un sorso del tuo vino e capire di che cazzo sapranno le tue labbra? Cazzo... sì.
    Io non mi ricordo quanti limoni sotto il palco ho dato, ma so bene cosa ho fatto quando invece ho imparato a stare dall'altra parte.
    E ti direi qualcosa se non ti fermassi nel punto perfetto, nel correre di queste frasi fino al momento che voglio io. Mi chiedo se sai che mi stai già dicendo quello che voglio, e il nostro non sia che un cazzo di scambio sincero, finalmente. Dio ho il cuore che gareggia al contrario, è contro di me. Mando giù un sorso solo, ma la presa la mantengo anche quando il bicchiere lo faccio scorrere lento verso di te. Vediamo se le tue cazzo di dita toccano le mie, fammi sentire quella scintilla, lascia che la tempesta scarichi a terra una volta ogni tanto.
    — Qualcosa... ripeto, non qualcuno, mh? Però ti guardo, è solo per dirti che ho capito, ed il mio ginocchio preme piano contro il tuo. — Vorrei dire che non è sempre una festa, ma stare dall'altra parte del palco aiuta a fare c- colpo sui ragazzini esagitati lì sotto i miei piedi.
    E' che questa frase non la voglio finire, non mi interessano loro. Mi.. mi interessi tu, perché sei una cazzo di ossessione da quando mi hai spaventato fuori da quella cazzo di libreria.

    Dovrei dirti che scrivo ballate un po' a caso quando non ho voglia di spaccarmi i timpani e le mie mani, lungo quella sequela di tasti, parlano meglio di me.
    — Ti ho riascoltato suonare... in questi giorni non mi vergogno di questo, non mi vergogno di un cazzo - magari anche quando invece dovrei - perché non sto fingendo neanche per il cazzo che tu non mi piaccia. — Non credo sia solo studio, il tuo ma non è la sola che mi spinge a farmi appena più avanti. — Il tuo vero talento? rimarco, ché forse la verità resta la cazzo di arma più importante. Mi metto comodo, guardami Riley, guarda il cenno che ti faccio perché tu me ne parli ora. E' qualcosa che si scopre al quinto appuntamento? ci scherzo, ma è una linea sottile la mia, come se non stessi già immaginando tutto quello che, per fortuna, non mi puoi leggere addosso. Riley... io sono ancora quell'adolescente che limona sotto il palco.



     
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