Where's is my love

Dicembre 2017

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    È fatta. Marcirà sul fondo del Lago Nero. Questo quanto aveva raccontato a Ryuk. Per il resto del mondo Albus Potter era semplicemente scomparso, come sarebbe dovuto accadere molto tempo prima, quando il giovane ladro di anime aveva deciso di sfidare la sorte. Né Mun, né tanto meno il giovane Potter avevano compreso per quale ragione il dio della morte volesse così tanto l'anima di Albus, tanto meno era chiaro cosa avesse fatto per attirare l'attenzione del traghettatore a discapito della terzietà che sembrava dimostrare in ogni circostanza e al cospetto di un qualsiasi umano. Non c'era nulla che sembrava poter valere quanto l'anima del moro; né il sacrificio di un qualche altro delinquente, né tanto meno una strage di innocenti avrebbe accontentato la sete del dio della morte. Ryuk voleva Albus, e la piccola Carrow dal canto suo non ci riusciva. Non era stata in grado di andare fino in fondo nonostante ci avesse pensato più di una volta. Non ne aveva avuto il cuore, né l'ennesima lite tra i due si era conclusa come si sarebbe aspettata. Nemmeno Mun era davvero così spietata da anteporre con così tanta convinzione il suo benessere all'altrui vita. La vita di un innocente. In cuor suo sapeva quanto male ci sarebbe stato Fred, quanto la perdita di quel unico insolente ragazzino spericolato avrebbe creato scombussolamenti tra molti suoi conoscenti. Nonostante il loro rapporto abbia sempre lasciato a desiderare, Mun non sarebbe mai più stata capace di guardarsi allo specchio se dopo aver condiviso per così tante volte lo stesso tavolo con quel Potter, lo avesse condannato a morte certa. Forse i tempi di quello strampalato quartetto sono andati; probabilmente non torneranno mai più. Ciò non significa però che voglio lasciarli andare del tutto. E ai suoi bei ricordi, la piccola Carrow sembrava aggrapparsi con le unghie e coi denti. La decisione di trovare un'alternativa poi, era dovuta forse anche a un istinto di autoconservazione; forse il suo era solo egoismo o forse semplicemente non era in grado di occuparsi di persone così vicine a lei come faceva con tanti, sin troppi estranei. E quindi aveva acconsentito a quello stupido piano; aveva lasciato che si nascondesse nella foresta proibita, nella speranza che qualunque cosa ci fosse dall'altra parte sarebbe stato abbastanza forte da tenere lontano Ryuk. In fondo, non c'era indizio alcuno che potesse portarli a pensare che il giovane Potter si sarebbe fiondato nella tana del lupo, e Ryuk, quella sera, si era mostrato più soddisfatto e accondiscendente del solito. « Giuro solennemente di non avere buone intenzioni. » Getta uno sguardo alle proprie spalle osservando la figura del dio della morte con un velo di preoccupazione. La tenue ombra scura come la pece appare soddisfatta. Ryuk è chiaramente deliziato da quella che immagina possa essere la disfatta del ladro di anime. « Sai Mun.. non ti facevo proprio così.. » « Così come? » Chiede seguendo i nomi dei propri conoscenti sulla mappa; si dirigono verso lo stesso punto: quella sera ad essersi aperta sembra sia la sala comune Serpeverde. « Una tipa da sciacallaggio. » Mun si morde il labbro inferiore e stringe la mappa tra le dita. « Beh. Non è come se potesse servire molto a un morto. Ho fatto quello che dovevo fare. Non intendo morire qui dentro.. a differenza sua. » Segue una pausa, tempo in cui nessuno parla. « Certo. » C'è qualcosa che tradisce una certa tensione tra i due. E' solo paranoia. Certo che è solo paranoia. Lui non può sapere. E' passato dall'altra parte dal lago. Ryuk non può sapere cosa è accaduto su quella barchetta. Il dio della morte scompare, ma non prima di averla lasciata con un avvertimento. « Evita la Sala Grande. Il digiuno sarebbe l'ultimo dei tuoi problemi. » Ed effettivamente giunta nella sala comune Serpeverde, sentì il racconto di due Grifondoro che si sono letteralmente fatti a pezzi per accaparrarsi una pozione curativa. Fu con quelle premesse che cominciò la conta di quella sera. La conta era letteralmente il rituale che li accompagnava prima di andare a dormire; niente più che un breve appello, forse più per scoprire chi non ce l'aveva fatta che per rendersi conto di chi era ancora con loro. « Carrow Amunet. » Gli occhi di Percy Watson sembrano sollevati nel incontrare quelli della mora. « Eccomi. » Disse non appena entrò nella sala comune individuando Emilia nella folla di disperati, alzando una mano per attirare la sua attenzione. Le aveva promesso di allontanarsi solo per poco. Poi è sparita per tutto il pomeriggio - sempre se quell'eterna notte poteva scandire ancora la mattina dal pomeriggio e il pomeriggio dalla sera. « Scusa. Sono stata trattenuta.. una trappola. Tutto bene? » Un sorriso di scuse, prima di portarsi la borraccia alle labbra, stringendosi nelle spalle. Le mani tremano; che fosse agitata e allo stesso tempo abbattuta era evidente. La conta continuò, finché non giunse il momento che temeva. « Potter Albus. » Silenzio. « Potter? » Un mormorio improvviso pervase la Sala Comune, mentre qualche volto irrequieto stava già mutando espressione. Individuò nella folla Fred; il suo sguardo dilaniato dallo stupore e dallo spavento. Non lo avrebbero trovato quella sera, né nei prossimi giorni, e non c'era cosa che Mun potesse fare allo stato attuale per scardinare la preoccupazione che vide insinuarsi nell'animo di alcuni dei suoi conoscenti. Afferrò la mano della migliore amica e conclusasi la conta con un'altra decina di scomparsi e morti, imboccò il corridoio che portava verso i dormitori delle ragazze. Strinse le dita di lei con convinzione sospirando profondamente prima di fermarsi di fronte al loro vecchio dormitorio in fondo al corridoio. Roteò il pomello della porta con cautela, prima di infilarsi nell'ambiente buio, chiudendosi la porta alle spalle a chiave.
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    Forse non era il momento migliore per abbandonarsi a egoismi; i posti letto scarseggiavano, ma quella sera, non se la sentiva di condividere i suoi spazi con troppe persone, né aveva voglia di fare salotto con nessuno. Succedeva spesso che le chiacchiere si protraessero per ore prima che tutti prendessero sonno, ma quella sera, di sentire i racconti traumatici di altri sventurati, Mun non ne aveva la minima voglia. Si guarda attorno, avanzando nella stanza illuminata dalle candele, con un senso di palese nostalgia. Sembra essere passata una vita da quando Mun ed Emilia condividevano quella stanza. Del loro vecchio arredamento era rimasto poco. Durante le prime giornate di fuoco, in molti avevano svaligiato le stanze alla ricerca di provviste e vestiti. Ora tutto ciò che avevano, se lo portavano sempre appresso, per paura che qualche malcapitato potesse privarli dei pochi averi che ancora riuscivano a preservare. Mun nello specifico era dimagrita, dormiva poco, e sembrava più pallida del solito. Stretta nella camicia di flanella che indossava sin dai primi giorni di Lockdown, scivolò svogliata contro la porta del bagno, portandosi le ginocchia al petto. I lamenti alla bocca dello stomaco la portano a deglutire. Ormai non sa più cosa significhi sentirsi sazia. E di scatto scoppia a piangere, coprendosi il volto con entrambe le mani. Vorrebbe sfogarsi, raccontare a Emilia tutto, togliersi quel peso. Ma non può. Rovinerebbe tutto. « Oggi sono morte sedici persone. Dieci avevano meno di tredici anni. Di altre ventiquattro non si hanno tracce. » Tira su col naso e si stringe nelle spalle abbracciandosi le ginocchia con più decisione prima di inumidirsi le labbra. E infine sospira profondamente costringendosi a respirare e pensare lucidamente. « A volte credo sia solo questione di tempo. Non ho la più pallida idea di quanti giorni sono passati, o di quanti ne passeranno ancora.. ma.. ogni giorno c'è qualcuno che sta scomparendo. Qualcuno che non ce la fa. » Pausa. « Ho paura di quando potrebbe accadere a qualcuno che conosciamo.. » Solleva lo sguardo verso la migliore amica. « ..sta già accadendo. » Di scatto tre colpi sulla porta la obbligano a sgranare gli occhi. « APRITE LA PORTA! BASTA CON QUESTA STORIA DI CHIUDERSI NELLE STANZE A STRONZI!! MA CHE VI PARE IL MOMENTO! OOOOOOO!!! » Mun scuote la testa. No ti prego. Stasera non mi va di stare con questa gente.



     
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    « Berker Emilia », alza pigramente una mano fino a mezz’aria, quando sente Watson scandire il suo nome — la lascia lì, per qualche secondo, il gomito che riposa in grembo, mentre la conta continua e lei si guarda attorno nella trepidante attesa di vedere una chioma corvina spuntare da qualche parte. Mun è in ritardo — Non sto via tanto, ma Emilia doveva saperlo, doveva capirlo dal tono di voce che la stava prendendo per il culo.
    Lo sa, ha capito che Mun ha una sorta di piano — non le ha detto nulla, ed ha tentato di non lasciar nemmeno intendere una virgola, ma Emilia la conosce troppo bene per non scrutare e classificare in pochi secondi ogni suo cambiamento d’espressione. Solitamente la lascia fare — la lascia vagare come tenendola al guinzaglio, standole dietro per assicurarsi che non si faccia male. Quel pomeriggio, però, Mun è stata più brava del solito, e nonostante i peli sul retro della nuca di Emilia si sono effettivamente sollevati in allerta, la forza per seguirla non l’ha avuta. A quanto pare, ha scelto il momento sbagliato per incominciare ad essere stanca.
    « Carrow Amunet », e trattiene il respiro, Emilia, sprofondata accanto ad una concasata su una poltrona della Sala Comune; stringe i polpastrelli della mano sinistra al bracciolo come se volesse spezzarlo. « Eccomi », riesce a respirare, così forte che le scappa un colpo di tosse. Non vede una sigaretta da settimane, ma è quasi sicura di star prendendo la polmonite — si volta giusto in tempo per vedere Mun alzare una mano per attirare la sua attenzione, e le sorride. Stai bene.
    « Scusa. Sono stata trattenuta.. una trappola. Tutto bene? », «Tutto bene?!», sibila, quando Mun si avvicina attraversando la folla, «Levati, alzati», si volta nella direzione opposta, prima di fissare la ragazzina, probabilmente più piccola di lei, con cui condivideva la poltrona. Non le serve ripeterlo due volte — si scosta più in là per farle posto, riprendendo da dov’era rimasta: «Che trappola? Sei sparita per ore», quante ore esattamente non lo sapeva, ma ha provato a contarle in qualche modo, «Ti sei persa il rifornimento, comunque», apre appena il cardigan lungo ed ormai infeltrito — se l’è accaparrato quella che sembra una vita, e non l’ha ancora mollato — dentro cui custodisce quanto è riuscita ad ottenere per placare il suo stomaco. Sbuffa dal naso, quindi, torna a guardarsi attorno — ha intenzione di farsi spiegare che cos’è successo, più tardi, perché la vede, quell’aria da Bambi più evidente del solito.
    « Potter Albus », ma nessuno risponde. Cala il silenzio, ed Emilia esala silenziosamente l’ennesimo sbuffo passivo-aggressivo con cui aveva intenzione di punire la migliore amica. « Potter? », ma Potter non c’è — Mun le stringe la mano, ed Emilia stringe la sua.

    Si abbandona sul suo vecchio letto di schiena, chiudendo gli occhi per un secondo. Sorride appena, soddisfatta, nel sentire il rumore della chiave che armeggia nella serratura. Finalmente Mun ha abbandonato l’idea di essere altruista.
    Si volta sul fianco buono a fatica, reprimendo un gemito, quando la sente scivolare lungo il legno della porta che conduce al bagno — un occhio semichiuso ed uno aperto, vigile, ad osservarla silenziosamente da lontano. Le fa male lo stomaco, ma non pensa di avere la forza per alzarsi e mangiare. È sorprendente quanto l’aver rischiato la morte anche oggi non sia più un evento importante o spaventoso. Se il platano picchiatore non l’avesse presa in pieno petto con uno dei suoi rami, però, è sicura che sarebbe stata meglio — forse ha un paio di costole rotte, ma non ha ancora avuto il coraggio o la forza di dare un’occhiata.
    Si è quasi addormentata, o caduta in una sorta di trance, non saprebbe dirlo, quando i singhiozzi di Mun la svegliano di soprassalto. « Oggi sono morte sedici persone. Dieci avevano meno di tredici anni. Di altre ventiquattro non si hanno tracce. A volte credo sia solo questione di tempo. Non ho la più pallida idea di quanti giorni sono passati, o di quanti ne passeranno ancora.. ma.. ogni giorno c'è qualcuno che sta scomparendo. Qualcuno che non ce la fa. Ho paura di quando potrebbe accadere a qualcuno che conosciamo.. sta già accadendo. », la ascolta solo con un orecchio, Emilia, l’altro distratto dal sibilo sinistro che i suoi polmoni sbuffano quando respira. Tira un colpo di tosse, prima di sollevarsi con un sospiro e battere la mano sul letto, un chiaro invito ad essere raggiunta. «Vieni qua, mangia, ho preso qualcosa anche per te», piega un angolo delle labbra, svuotando le tasche e le fodere di fortuna che ha legato all’interno.
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    I colpi sulla porta la costringono a sollevare il mento di scatto, gli occhi fissi sulla maniglia, « APRITE LA PORTA! BASTA CON QUESTA STORIA DI CHIUDERSI NELLE STANZE A STRONZI!! MA CHE VI PARE IL MOMENTO! OOOOOOO!!! », ma sospira, rendendosi conto che qualche coglione incazzato è, al momento, l’ultimo dei loro problemi. Non ha la minima voglia di alzarsi ed uscire per litigare — o possibilmente schiantarli uno ad uno —, e non sembra essere necessario. «Ho trovato un posto di là, corri!!», dei passi seguiti da una voce diversa, e la piccola mandria di avventurieri sembra essersi dileguata.
    «Stavo dicendo», prende un respiro, «Mangia qualcosa, e spiegami che cos’è successo oggi», la esorta, di nuovo, allungando una mano per prendere una mela, che con le fibre e l’acqua di cui è composta dovrebbe imbrogliare il suo stomaco nel pensare di potersi considerare sazio — a qualcosa, quindi, l’essere a dieta ferrea per la maggior parte dell’adolescenza è servito. «Mun», la chiama, poggiando le spalle contro al cuscino, «Questa è la situazione», sospira, abbandona anche il capo contro la testiera del baldacchino, «Ormai dobbiamo metterci in testa che le persone moriranno, che i ragazzini moriranno, e che anche alcuni nostri amici probabilmente moriranno», snocciola, cercando di raggiungere i suoi occhi, «Oggi non è successo, non ti puoi disperare anche per quelli che non conoscevi e quelli che salutavi nei corridoi, è uno spreco di energie», la rimprovera, piccata, «E come fai a essere lucida domani se ti struggi stasera per gente di cui, alla fine, non te n’è mai fregato un cazzo?», addenta la mela, piano, cercando di mangiarla il più lentamente possibile. «Quanta acqua hai?», domanda, ricordando di averla vista con la borraccia alla conta. Si sporge per verificare, prima di spostare un cuscino ed avvicinarsi a lei, «Che è successo oggi?», piega la testa, posando la mano sulla sua.

     
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    Tira su col naso Mun, mentre resta a indugiare per qualche istante di fronte all'invito della sua complice e partner in ogni malefatta ad avvicinarsi. Solo allora la osserva meglio. Sembra affaticata e dolorante; di certo ora che la guarda meglio, la smorfia di dolore che tenta di reprimere non le sfugge. Si morde istintivamente il labbro inferiore e sospira, alzandosi pigramente per raggiungerla. « Vieni qua, mangia, ho preso qualcosa anche per te » Emilia si è impegnata; osserva i viveri che è riuscita a raccogliere e si maledice per aver fatto tardi durante la cena. Avrei potuto raccogliere più cose. Avrei potuto fare scorte. Tenermi pronta. Per i ragazzini, e per Potter. Già, ora le bocche da sfamare si stavano moltiplicando. « Non ho molta fame.. » Ammette in tutta onesta mentre si side sul letto accanto a lei, cercando di osservarla con più attenzione. « Cosa ti fa male, Em? » Le chiede con voce controllata, prima che i colpi sulla porta la distraggano dalla sua indagine. Per fortuna, gli scocciatori decidono ben presto di gettare la spugna e la mora sospira in tutta risposta scuotendo la testa. Impugna la bacchetta e posata una mano sul braccio della morta, le punta la bacchetta contro chiudendo gli occhi. « Reinnerva! » L'incantesimo curativo più adatto alla loro condizione. La bacchetta genera un fascio di luce che avrebbe infuso forza alla povera Emilia, così debilitata ai suoi occhi. « Meglio? » Le chiede di scatto prima di servirsi dalle scorte unicamente di una piccola porzione monodose di fette biscottate.
    « Mun. Questa è la situazione. Ormai dobbiamo metterci in testa che le persone moriranno, che i ragazzini moriranno, e che anche alcuni nostri amici probabilmente moriranno » Stringe i denti Mun. Prima di quel momento aveva vissuto per negazione, come se una spessa pattina si fosse posata al di sopra della sua capacità di giudizio. Agiva da individualista e per lo più viveva quella tetra esperienza come se nulla stessa accadendo. Si era concentrata sui dettagli; mangiare, dormire, scappare. Come un animaletto in gabbia si era adattata alla sua situazione. Non pesava sulle spalle di nessuno e nessuno pesava sulle sue spalle; aveva ragionato come Emilia fino a quel momento. La gente muore di continuo. L'ho fatta morire anche io la gente. La gente che se lo meritava. Ma ora, con un peso immane sul cuore, le sue priorità e la sua capacità di giudizio sembrava aver mutato pelle, come se da un momento all'altro il baricentro della sua esistenza si fosse spostato. « Oggi non è successo, non ti puoi disperare anche per quelli che non conoscevi e quelli che salutavi nei corridoi, è uno spreco di energie. E come fai a essere lucida domani se ti struggi stasera per gente di cui, alla fine, non te n’è mai fregato un cazzo? » Si passa una mano tra i capelli inumidendosi le labbra prima di addentare la fetta biscottata insapore. « Quanta acqua hai? » Afferra la propria tracolla ed estrae la borraccia quasi piena porgendogliela. « Bevi quanto vuoi. Andrò a prenderne altra domani. » E dicendo ciò incrociò le braccia al petto stringendosi nella larga camicia di flanella continuando a snocciolare i ricordi flash degli eventi accaduti sulla barchetta. « Che è successo oggi? » Era terribilmente scossa e continuava a tremare come una foglia, colta dal panico di rendersi conto che una persona si sarebbe trovata costantemente nella foresta proibita a causa sua. L'ho mandato a morire. L'ho mandato a morire e non posso fare niente per impedirlo. Se torna morirà. Se resta lì, morirà. E lì sul momento annuisce e sospira, rendendosi conto che lentamente nella sua testa il germoglio di un'idea inedita sta già iniziando a fiorire senza che Mun possa fare nulla per impedirglielo. « Avevo solo bisogno di stare un po' da sola. Per riflettere. » Mente spudoratamente, Mun, ma sa che in fondo quello è un comportamento non troppo lontano dalle sue abitudini. Quando ha bisogno di spazio, la piccola Carrow sa diventare ermetica. Non c'è nulla che la scalfisca. Se non vuole parlare, non parla, se non vuole condividere, non condividere, se deve soffrire in silenzio sa farlo. Meglio di qualunque altra cosa al mondo. « Non mi piace com'è andata fino a questo momento. Non mi sono comportata bene. Ho bisogno di dare una mano.. aiutare farà la differenza. » Si stringe nelle spalle e solleva lo sguardo verso il volto della migliore amica. Vi è un leggero senso di inquietudine nel confessarle quanto ha chiesto alla Morgenstern prima di entrare nella sala comune. Non approverai. Ma io devo farlo. L'ho promesso. Glielo promesso. « Da domani mi occuperò di uno dei gruppi del primo anno. L'ho già detto a Tris.. è d'accordo. Ora che Potter.. » Si interrompe per un istante deglutendo. « ..potrebbe.. beh sì non lo sappiamo, potrebbe.. » Cerca di essere il più impassibile possibile mentre si inumidisce le labbra portandosi la fetta biscottata alle labbra. « Prenderò il suo gruppo. Li terrò al sicuro durante il giorno. » Resta per un po' in silenzio, tempo in cui giocherella distrattamente con il lembo della propria camicia, portandosi qualche volta la borraccia alle labbra continuando a mangiucchiare assente. « Comunque non farci caso.. sono ancora un po' scossa. Tutto questo impegnarmi a stare lontana da Fred mi sta spolpando. Ogni tanto mi dico.. potrei morire continuando a serbare rancore. Oppure.. » ..oppure potrebbe capitare a lui. Il solo pensiero la inorridisce. Nonostante tutto, Mun ama ancora Fred. Non riesco a smettere. Non riesco a smettere di volerlo nonostante mi abbia fatto così tanto male. Nonostante abbia fatto di tutto per umiliarmi, farmi stare male. Mi ha abbandonata e mi ha preso in giro. « Vorrei solo che non avesse fatto tutte quelle cose. Sono arrabbiata.. ma non mi va di perdonarlo.. » Pausa. « Non so.. non so proprio cosa fare. » Vorrei solo fargliela pagare. Farlo sentire esattamente come mi sono sentita io. Ma vorrei anche che la smettessimo. Sento di aver bisogno di lui. E lui ha bisogno di me. E in questo luogo di perdizione e morte, cosa abbiamo se non noi stessi? « Cosa devo fare Em? Ti prego dimmi cosa devo fare. Io non so proprio come comportarmi. Non so più cosa fare.. mi sembra che ultimamente tutto va storto, ed io non ho controllo su niente. Le cose continuano a sfuggirmi di mano.. ogni giorno è un continuo.. ancora e ancora.. e ancora.» E poi di nuovo ancora.


     
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    « Non ho molta fame.. », alza un sopracciglio, Emilia, ma non commenta. È talmente stanca che non riesce nemmeno a capire se Mun sia sincera o meno — e forse è talmente stanca da un po’, forse quella sensazione che cerca di quietare e chiudere a chiave nel fondo della sua coscienza non è solo una sensazione. È reale. Sente Mun che si allontana, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, come se le scivolasse via da sotto la pelle e si cristallizzasse finalmente in una persona propria.
    « Cosa ti fa male, Em? », rotea gli occhi all’interno della cavità, sbuffando dal naso — cambiare discorso, togliere l’attenzione da sé per passarla agli altri è così tipico di Mun, quando nasconde qualcosa. Non sto diventando completamente pazza, c’è qualcosa che non va.
    La lascia fare, appoggiandosi sul fianco sano a poca distanza dalla mora — chiude gli occhi, istintivamente, quando il fascio di luce proveniente dalla bacchetta di Mun le si scontra addosso, penetra fino alle viscere. Una questione di pochi attimi. Sorride, spossata ma decisamente rinvigorita, «Grazie», schiude le palpebre, puntando lo sguardo su Mun, «Il verde non era proprio il mio colore», sdrammatizza, alzando un sopracciglio. Sono mesi che sfugge dagli specchi, Emilia — e forse non molto per la dismorfofobia che la segue come un’ombra da quando è nata, quanto per il lancinante terrore di non riconoscersi. « Meglio? », annuisce, tornando ad essere seria, puntandole addosso lo sguardo di vetro con determinazione — Che cosa mi nascondi? Che Mun sia scossa è lapalissiano — sono tutti scossi, sono tutti terrorizzati, nel profondo, anche quelli che fingono di non esserlo. La paura è comprensibile, la paura è umana. Ma è necessario metterla da parte, perché può essere usata contro di te. L’energia fredda che Mun trasuda, però, è più articolata della paura. Più difficile da processare.
    Ci prova, a scuoterla — come fa sempre, com’è suo compito fare, a ricordarle qual è la posta in gioco e qual è la strategia. La guarda tremare e si sporge, ma non la tocca — osserva la sua espressione cambiare ed i suoi lineamenti distendersi, per un momento, lontani dalla stanza, da questo momento denso ed appiccicoso. È successo qualcosa. È successo qualcosa e, prevedibilmente, il suo subconscio sa già che Mun sta per mentirle — è inevitabile, la conosce da talmente tanti anni, passati insieme, appiccicate per il fianco come gemelle siamesi. A farsi del bene, a farsi del male — a conoscersi, a legarsi, checché loro vogliano, per il futuro.
    « Avevo solo bisogno di stare un po' da sola. Per riflettere. », afferra la borraccia con fare scettico, e beve un sorso. Eccoci, rotola piano sul fianco, ritrovandosi appoggiata sui gomiti a scrutare il soffitto dei sotterranei. Una volta tutto quel buio la rincuorava.
    « Non mi piace com'è andata fino a questo momento. Non mi sono comportata bene. Ho bisogno di dare una mano.. aiutare farà la differenza. », non la guarda, all’inizio, distratta dalle venature della pietra sopra alle loro teste, che alla luce fioca delle lampade impolverate sui comodini sembrano rampicanti, alghe mortali provenienti dal profondo del Lago nero che le circonda. Volta il capo, tuttavia, sollevando un sopracciglio, quando recepisce il messaggio della Carrow. Aiutare a fare la differenza? Fa per intervenire, ma non riesce a parlare prima di venire interrotta, « Da domani mi occuperò di uno dei gruppi del primo anno. L'ho già detto a Tris.. è d’accordo ». Si solleva, quindi, le ossa che non le sembrano più nemmeno le sue. Come se anche il suo corpo l’avesse abbandonata. « Ora che Potter… potrebbe.. beh sì non lo sappiamo, potrebbe.. », Non ci credo, sibila senza suono, più che smossa dalla notizia di Mun. « Prenderò il suo gruppo. Li terrò al sicuro durante il giorno. », ha bisogno di un momento, prima di sbattere le palpebre e chiedere, semplicemente, «Perché?», sospira, indispettita, «Perché ti devi esporre per dei ragazzini che nemmeno conosci?!». Non ha alcun senso. «E soprattutto, da quando… in tutta onestà, Mun, da quando ti importa?!», carica il tono di frustrazione, e quella che dovrebbe essere una semplice domanda risuona contro alle pareti gelate come un’accusa.
    Sente già la rabbia che ringhia nella cassa toracica, ed improvvisamente qualsiasi dolore è un’eco lontano, quietato dall’adrenalina. Si sente tradita — inspiegabilmente, senza alcun senso logico apparente, si sente completamente abbandonata a se stessa. Offesa.
    La guarda mangiare, indifferente, fingendo di non aver appena lanciato una bomba nucleare in quel dormitorio spoglio, un tonfo così forte che anche gli abitanti dell’acqua si sono svegliati. « Comunque non farci caso.. sono ancora un po' scossa. Tutto questo impegnarmi a stare lontana da Fred mi sta spolpando. Ogni tanto mi dico.. potrei morire continuando a serbare rancore. Oppure.. », si abbandona di nuovo sul letto, Emilia, come sconfitta. Volta il capo, senza guardarla negli occhi, trovandosi faccia a faccia con il suo ginocchio. E quando scomodiamo pure Fred Weasley, signori, è finita. «E non sarebbe una grande cosa?», Un grande favore all’umanità? Uno in meno!, ma questo non lo dice, per non attirarsi addosso quegli occhioni pieni di indignazione.
    « Vorrei solo che non avesse fatto tutte quelle cose. Sono arrabbiata.. ma non mi va di perdonarlo.. », ingoia la foglia, Emilia, sospirando. « Non so.. non so proprio cosa fare. », ma non è il momento per la gelosia di scivolare fuori dalle crepe. « Cosa devo fare Em? Ti prego dimmi cosa devo fare. Io non so proprio come comportarmi. Non so più cosa fare.. mi sembra che ultimamente tutto va storto, ed io non ho controllo su niente. Le cose continuano a sfuggirmi di mano.. ogni giorno è un continuo.. ancora e ancora.. e ancora. »
    Cosa devo fare, Em?, una frase che ha sentito così tante volte. Una richiesta di aiuto inscritta ed assoldata già il primo giorno che si sono conosciute. Emilia si sarebbe sempre presa cura di Mun, in un modo o nell’altro. Non potrebbe smettere nemmeno se volesse, e ci sono momenti in cui non c’è altra cosa che desidererebbe al mondo. Separarsi. Strappare quel cordone ombelicale con i denti e lasciarsi tutto alle spalle. Ma allo stesso tempo non riesce a riconoscere un futuro lontano senza di lei. Non riesce ad accettare la sua assenza, che in qualche modo già crepita sotto alla superficie. Mi spezzerai il cuore, e forse l’ha sempre saputo, forse è tutto un gioco che non può vincere. Che non vincerà mai. Eppure, giocare le ha regalato i momenti più belli della sua vita. Non sa se riuscirà mai a dirle esattamente che cosa prova. Nemmeno Emilia sa che cosa prova. È complicato, viscerale, un sentimento che non può spiegare ma che ha preso radici nel suo stesso carattere, nella sua crescita come persona, come donna. Perché nessuno è più bambino, lì dentro, nemmeno i bambini.
    Perché Emilia non sarebbe Emilia senza Mun, non ricorda chi l’ha detto. Non ha commentato, colta in contropiede dalla veridicità di quel concetto semplice, ma che ha schiuso un intricato dedalo di conseguenze nella sua testa. «Shhh, shhh», prima le posa le dita sulla gamba, delicatamente, come a confortarla, e piano si alza, di nuovo, per incontrare i suoi occhi. Le prende la testa tra le mani, che stringe a coppa attorno al suo viso, «Shhh», ripete, respira con lei per cercare di calmarla, di attirare la sua attenzione di sé, di distrarla dai
    suoi pensieri che si rincorrono in circolo. Sono così pesanti e pressanti che Emilia potrebbe giurare di leggerli sulla sua fronte, in mezzo alle rughe che le sue sopracciglia aggrottate formano tra un arco e l’altro. È così vicina che tutto ciò che riesce a sentire è il suo battito cardiaco agitato, che rimbomba contro la cassa toracica, il petto che si alza e si abbassa come una molla. E senza pensare, senza senza sapere, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non l’avesse sognato notte dopo notte e non l’avesse tenuto per sé come il più grande segreto… si sporge, poggia le labbra sulle sue, beve il suo respiro. Shhh.
     
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