Watch me, take a good thing and fuck it all up in one night

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    [continua da qui]

    I might say some stupid things tonight when you pick up this call
    I've been hearing silence on the other side for way too long
    I can taste it on my tongue, I can tell that something's wrong, but-



    Non ricorda come è riuscita a far tornare Léon a casa: una cosa si è susseguita all’altra in quel che le è parso una manciata di secondi – razionalmente, però, sa esattamente quanto tempo sia passato: ha controllato il display del cellulare ogni dieci minuti esatti per tutto il tempo, finché non ha smesso completamente qualche ora fa, quando ha iniziato a camminare. Trentotto minuti di sballo, la prima volta. Che ha portato ad un’altra, ma dopo la seconda si è fermata improvvisamente, ed ha trovato una scusa per mandare Léon a casa. Prima che potesse vedere che stava incominciando a scendere. E a scendere, e a scendere, e a scendere.
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    Quando si alza a fatica dall’ennesimo marciapiede, si rende conto di essere fin troppo lontana da casa ma che, per quel che vale, non ha la minima idea di dove si trovi. Tira fuori il telefono dalla tasca, lo sblocca – si passa una mano tra i capelli per metterli in ordine, nonostante il silenzio non sembri rivelare nemmeno un’ombra.
    Ormai avvezza alla tecnologia babbana – ed essendosi trovata in questa stessa situazione più di una dozzina di volte –, scorre tra le app alla ricerca del navigatore. «Una cosa alla volta, Winter- dove sei? Prima capisci dove sei, poi vedi come tornare a casa», si ripete, mormorando tra sé, dondolandosi, forse per il freddo o per gli strascichi dell’up, come a cullarsi. Il navigatore, però, non sembra avere la minima intenzione di aiutarla – «Dai, cazzo, dai-», si lamenta, Winter, ticchettando con le unghie smaltate sullo schermo. Sente distintamente il pizzicore delle lacrime negli occhi esausti, ma le reprime con un moto di rabbia – «Basta piangere», sospira, «Smettila di piangere». Riprova un’ultima volta, ma nel momento in cui si carica l’interfaccia dell’applicazione, il telefono la butta fuori. Cazzo.
    Si lascia cadere sugli scalini di una casa, sprofondando con la fronte tra le mani – è lì che scoppia a piangere, perché ha freddo, perché è stanca, perché nel cielo fa quasi chiaro e perché sapeva di non doverlo fare. Ma l’ha fatto lo stesso, ed ora deve conviverci. «Io non volevo-», così persa in una fitta conversazione con se stessa, Winter non si rende conto dei passi lenti che si avvicinano da una viuzza perpendicolare. Solleva la testa di scatto, puntando gli occhi dritti sulla fonte del rumore – due uomini di mezz’età che puntano bene i piedi al suolo, uno che trascina l’altro, nonostante entrambi sbilenchino a zig-zag. Cazzo.
    Si alza, Winter, infila il cellulare in tasca. Incomincia a camminare per allontanarsi, piano, senza dare nell’occhio, «Hey, bionda!», Cazzo. «Merda», soffia, Winter, scandagliando il circondario per un indizio qualsiasi, un pub aperto, una placca sul muro… Gilderoy Square.
    I passi si avvicinano, mentre i due incominciano a fare caciara alle sue spalle – Aspetta... E’ solo ripetendosi il nome della piazza più e più volte nella mente che si rende conto di aver ritrovato l’orientamento. Come cazzo ci sono finita nella Londra magica?, ma non ne ha idea. «Ecco perché il navigatore non funziona…», sospira. Attraversata quasi metà della piazza, si accorge che anche i due hanno cambiato direzione.
    Pensa, Winter, pensa, pensa, cazzo. Gilderoy Square. Gilderoy Square – ma l’unica cosa che le viene in mente, per quanto sprema il cervello, è il buio del Suspiria ed i capelli ricci di… Karma. Karma, che… che dice di vivere con il suo ragazzo… qui.
    Con il cellulare all’orecchio, Winter continua a camminare – una grande parte di lei non si aspetta una risposta, ma almeno ci ha provato, l’altra mano ferma sulla bacchetta che, questa volta, fortunatamente non si è persa per strada.
    Al quinto squillo, decide di allontanare il telefono per chiudere la chiamata, ma la voce flebile della ragazza dall’altro capo – riattacca il telefono all’orecchio, sospirando di sollievo. «Ciao, cazzo- cazzo scusami per l’ora, è che-», incomincia, il respiro esagitato, «Penso di essere sotto casa tua, ma non… non so come tornare a casa», la voce che è quasi un sussurro, per la paranoia dei due uomini alle sue spalle, che, per via della sua indecisione, sono ormai a due passi da lei… e la superano quando si ferma di scatto. Winter li osserva allontanarsi, quello più sano che trascina l’amico, che le manda baci con una mano. Sono solo due coglioni ubriachi. Sospira, Winter, «… scusami, davvero- è una cazzata, sono paranoica, riuscirò a tornare a casa da sola».
     
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    Dapprima non sente il cellulare vibrare, scompostamente, tra le cose che sono alla rinfusa sul comodino. E se anche lo sente, è un piacevole sottofondo che non la richiama dal sonno. E' solo quando il cellulare si scontra contro il vetro della bottiglia, incastrandosi tra essa e il libro, cominciando ad insistere, vibrando più fastidiosamente, che Karma si muove tra le lenzuola, la faccia corrucciata e vagamente seccata mentre apre un occhio, fissando le tenebre, che le persiane rigorosamente serrate offrono alla stanza, illuminate ora dallo schermo acceso del cellulare che continua a suonare. Tasta il comodino con la mano, fin quando non lo recupera e fissa per un attimo l'orario. Sono passate da poco le cinque del mattino. E Winter la sta chiamando. Se prima era decisamente scocciata, ora è senza dubbio preoccupata. « P-pronto? » La voce è impastata ancora dal sonno, seppur la testa abbia ripreso a girare prima del previsto, per gli standard mattutini di Karma. «Ciao, cazzo- cazzo scusami per l’ora, è che-» Il respiro affannato di lei la porta a sbattere le palpebre, come a volersi risvegliare effettivamente quanto prima, e a scendere da letto velocemente per recuperare un maglione dalla seggiola in fondo al letto, lanciando un'occhiata di lato ad un addormentato Arthur che sembra non essere stato minimamente toccato dalla chiamata, ancora immerso nel fantastico mondo di Morfeo. Esce dalla camera senza far rumore, conscia che lui avrà la sveglia da lì a poco. «Penso di essere sotto casa tua, ma non… non so come tornare a casa» Riesce quasi a percepirlo come una presenza fisica, lo spaesamento che traspare dalla sua voce mentre la mora scende le scale abbastanza concitatamente, con varie acrobazie per tenere fermo il cellulare tra la spalla e l'orecchio e nel frattempo buttarsi addosso il maglione sopra il pigiama dalle lunghezze tipicamente estive. Ma in questa casa si scoppia di caldo. «… scusami, davvero- è una cazzata, sono paranoica, riuscirò a tornare a casa da sola» Sentirla così stranita le fa suonare più forte il campanello d'allarme che ha in testa per questo, con le prime luci dell'alba che prendono ad illuminare il corridoietto fatto di vetrate che conduce direttamente alla porta che apre con enfasi. « Quale miglior momento per farti fare un giro della casa? » Poggia la testa contro lo stipite e un sorriso stropicciato appare sulle sue labbra, ancora in chiamata con lei, seppur ora la veda effettivamente in fondo alle scale. « Sono due mesi che dici che vuoi vederla. » Le fa cenno di salire prima di spegnere il cellulare e abbracciarla, fisica com'è sempre nei rapporti interpersonali, accorgendosi nel tirarsi all'indietro di quanto siano grandi i suoi occhi. No, non sono gli occhi, sono le pupille. Registra mentalmente, prima di farle strada con il dito indice di fronte alle labbra. « Arthur ha la sveglia a breve e se non dorme fino all'ultimo poi sono cazzi per tutti. » Aggiunge ridacchiando piano per poi darle le spalle, risalendo le scale con la punta della bacchetta illuminata per far loro da guida fino a quando non accende i faretti neon del salotto. L'ambiente si rischiara e Karma le fa cenno di sedersi un po' dove vuole. « Caffè o tè? » Domanda poi prima di addentrarsi nella cucina. Armeggia con i fuochi ad induzione per qualche istante per poi lanciare un'occhiata alla ragazza. Non ha mai fatto domande, Karma, rimanendo sempre nel suo pur avendo adocchiato dei segnali, più o meno palesi riguardo una possibile dipendenza della ragazza. Probabilmente perché Winter è stata per lei una meteora a ciel sereno, entrata nella sua vita in un modo totalmente inaspettato, rimanendoci poi per quella particolare affinità che ha da subito sentito con il carattere prorompente della giovane. Però da qui a parlare effettivamente di cose personali e intime quanto l'avere una possibile problematica di questo tipo ce ne passa. « Vuoi anche i biscotti della nonna di Arthur? » Le domanda, risbucando fuori con una classica scatola di latta tra le dita, che posa sopra il tavolino in legno chiaro, lasciandolo scivolare verso di lei. « Li ho fatti mangiare prima ad Arthur, non si sa mai. » Sbuffa fuori una risata, ormai l'odio di Molly Weasley è diventato più un suo inside joke tra lei e Arthur che qualcosa di effettivamente tangibile. Certo, le occhiate sono sempre delle meno felici quando Arthur la costringe ad andare a pranzo alla Tana, c'è sempre quel velo di ironia quando le si rivolge, al quale Karma non può proprio esimersi dal rispondere con altrettanto sarcasmo, ma non c'è molto altro. Non il veleno nei biscotti, quantomeno. Si siede di fronte a lei, le dita della mano destra che tamburellano contro la superficie ruvida. Vaglia varie opzioni, sul cosa dire, come dirlo, da dove prenderlo, che tono di voce usare
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    nel dirlo. « Win, lo sai che qui sei al sicuro, vero? » Le domanda poi, tornando a fissarla negli occhi. « E così come sei al sicuro letteralmente, lo sei anche metaforicamente per questo non girerò troppo intorno alla cosa. » Non so nemmeno se ci sia un modo educato per chiedertelo. Alla fine va come le riesce meglio: diretta e senza alcun tipo di filtro edulcorato tra bocca e cervello. « In questo momento sei sotto effetto di sostanze? » Non fa alcuna faccia, anche perché qualsiasi sarà la sua risposta di certo non troverà alcun tipo di reazione sconvolta di fronte a sé. La guarda con serenità, senza alcun giudizio. « Immagino ti sia ritrovata da queste parti per caso. » Una constatazione che pensa di fare mentalmente ma che esplica ad alta voce. Si mordicchia un angolo delle labbra, mentre con la bacchetta fa planare sul tavolo due tazze, bevande calde, zuccheriera, due cucchiaini ed infine il cartone del latte freddo direttamente dal frigo. « Il caffè senza il latte non ho proprio idea di cosa sia. » Spiega con un sorriso che soffoca uno sbadiglio, prima di riempirsi la propria tazza di quel liquido nero dalla quale sale volute di fumo chiaro. « Magari ti va di raccontarmi cos'è successo? » Toglie il coperchio alla scatola di latta e te ne tira fuori un cookie, dal quale prende a staccare le deliziose pepite di cioccolato, una ad una, lanciandosele in bocca come fosse un canestro da basket. « Oppure no. Possiamo anche parlare del tempo, di quanto siano cambiate le stagioni, di quanto faccia schifo l'inverno oppure di quanto adori quegli stivaletti. » Accenna ai suoi piedi con il mento e un altro sbadiglio soffocato dietro il biscotto. « E del nome del negozio dove l'hai presi, mi pare chiaro. »
     
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    « Quale miglior momento per farti fare un giro della casa? », quando Winter volta il capo e la visione di Karma in pigiama in cima alle scale la colpisce come un fulmine a ciel sereno, è talmente stanca che se non sembrasse completamente fuori luogo scoppierebbe a piangere. « Sono due mesi che dici che vuoi vederla. », ricaccia indietro il magone ingoiando la saliva, e si stampa addosso un sorriso a trentadue denti. Ciondola con la testa verso sinistra, verso destra, un paio di volte, finché non si decide a salire le scale. Chiude la chiamata, infila il cellulare nella tasca del giaccone. Quando arriva alla porta, si ritrova a ricambiare impacciatamente l’abbraccio di Karma — se solo fosse più fisica, riuscirebbe forse a farle capire quanto sia sollevata. E quanto le sia grata.
    Si inoltra nell’appartamento guardandosi attorno con fare estremamente attento, «Questo posto è enorme… è bellissimo», esclama, estasiata. Improvvisamente, tutto il terrore che fino a una decina di minuti prima le stava corrodendo le interiora si è sciolto, lasciandola con una strana sensazione di calore al centro del petto di cui non sa veramente che farsi.
    « Arthur ha la sveglia a breve e se non dorme fino all'ultimo poi sono cazzi per tutti. », sorride, Winter, annuendo — deve fare piano, ed in punta di piedi si fa strada oltre al tavolino fino al divano. È solo quando si leva il giaccone per accomodarsi che si rende conto di aver girato chissà quante ore a Londra, tra la metropolitana e la scampagnata, in pigiama, un felpone sformato da uomo che, perlomeno, le copre le gambe più degli shorts. Fortunatamente aveva avuto l’accortezza di indossare un paio di stivaletti prima di uscire ad incontrare Léon, ma il risultato, di per sé, lascia estremamente a desiderare. Posa il giaccone sul divano, cercando di piegarlo su se stesso affinché sia ordinato.
    « Caffè o tè? », «Caffè, per favore», sussurra, e segue i riccioli di Karma finché non scompaiono nuovamente in cucina. Non riesce ad evitare di immedesimarsi in lei — in quell’amica con cui va pienamente d’accordo ma che nemmeno conosce così bene, che viene svegliata alle cinque del mattino e si ritrova una deficiente persa per il suo quartiere da dover accogliere in casa. Una deficiente sballata. Sa che lo sa. Se n’è accorta per forza. Incastra le mani in mezzo alle ginocchia tremanti, Winter, nascondendole nelle maniche della felpa. È stata un’idea del cazzo. È tutto così pulito, così in ordine, così normale da farla sentire l’ultima persona che possa permettersi di disturbare la quiete quasi sacra di quelle quattro mura.
    « Vuoi anche i biscotti della nonna di Arthur? Li ho fatti mangiare prima ad Arthur, non si sa mai. », cerca di scuotere la testa mentre Karma fa scivolare la scatola di biscotti sotto al suo naso, lo stomaco che si rivolta al solo pensiero di mandar giù un boccone — Vuole che mangi, Winter, ed è vero, se ne rende conto. Sa che se prendesse un biscotto la farebbe sentire meglio. A suo agio. L’ha imparato negli anni, dopo essersi sentita rimproverare da chiunque per il suo appetito inesistente. Allunga una mano, quindi, spezza un biscotto nella scatola e se lo porta alle labbra, smangiucchiando l’esterno per staccare le gocce di cioccolato.
    Si siede, Karma, e Winter respira tra i denti — ha freddo, ed è ancora convinta che chiamarla sia stata una pessima idea. Che senso ha? Che cosa c’entra lei, seduta lì, una mano ancora stretta tra le cosce, visibilmente sulla difensiva. Quando pensa di guardarsi da fuori, di poter vedere esattamente le sue espressioni e la sua posizione e tutti quei sentimenti che le scorrono dentro e quei pensieri che passano e se ne vanno e poi tornano indietro, allora Winter si mette a ridere. Non davvero. Nella sua testa. Si mette a ridere perché Eccola, c’è cascata di nuovo. Sapeva che provare a restare pulita non sarebbe servito a un cazzo. Lo sapeva. Eppure ci ha provato. Ci ha provato e ci ha creduto, ed ora si ritrova con le guance bagnate e gelate e le meningi sull’orlo di volersi liquefare. Non è tagliata per restare pulita. Per una vita normale. Non è tagliata per salotti di questo genere, per qualcosa che conta, per le fotografie su ogni ripiano e tutti quei sorrisi che la guardano e le urlano che è un fallimento. Non fa per lei.
    « Win, lo sai che qui sei al sicuro, vero? », si immobilizza sul posto, tiene il biscotto tra l’indice ed il pollice della mano sinistra, così forte da spezzarlo e farne cadere un pezzo a terra. «Mi dispiace», soffia. Sei una cretina. Non piangere, sei una cretina.
    Si abbassa per raccogliere la refurtiva e quanto riesce delle briciole, chiudendo il pugno della mano per non rischiare di fare più danni. Annuisce, quindi, anche se non ci crede. Non è al sicuro. Non è mai al sicuro. « E così come sei al sicuro letteralmente, lo sei anche metaforicamente per questo non girerò troppo intorno alla cosa ». Prende un respiro, lo spezza a metà. Trattiene l’aria finché Karma non riprende parola, finché non le sgancia addosso quella domanda così diretta. « In questo momento sei sotto effetto di sostanze? », è uno schiaffo dritto in faccia. Non ha la risposta pronta, Winter, per una volta — si morde l’interno delle guance, desiderando quasi che l’amica l’avesse seriamente presa a schiaffi, piuttosto che sottolineare l’ovvio. Che cosa devo dire?
    « Immagino ti sia ritrovata da queste parti per caso. », abbassa lo sguardo, quindi, con la stessa espressione di quand’era piccola e Lydia la fermava con le spalle al muro per discutere dell’ultimo guaio in cui si era cacciata. Le voleva bene, Lydia — a modo suo le ha sempre voluto bene, e forse è questo che le fa più male. Dopo averla sgridata si sentiva sempre in colpa, e le regalava un nuovo elastico per i capelli. Li ha ancora tutti in una scatola. Non sa quando ha smesso di farsi i codini, ma dev’essere stata veramente dura, per Lydia. Dev’essere stato straziante guardarla scivolarle via senza alcun controllo su di lei. D’altronde, non ne aveva mai avuto nemmeno su se stessa.
    « Il caffè senza il latte non ho proprio idea di cosa sia. », sorride, Winter, imbarazzata, scosta una ciocca di capelli dietro all’orecchio, gli occhi che tiene ancora bassi sul tavolino. Segue le mani di Karma che si versa il caffè, e la imita, trattenendo il respiro per tutta l’interminabile discesa del liquido nella tazza. Posa la brocca sulla superficie con le mani tremanti, ma non ha rovesciato nulla. Leggermente più convinta, quindi, aggiunge anche lei un goccio di latte, «Nemmeno io…».
    « Magari ti va di raccontarmi cos'è successo? », solleva gli occhi improvvisamente, Winter, troppo curiosa ed agitata di scoprire la sua espressione. La fronte distesa, gli occhi che paiono il mare in una nottata silente d’inverno. Calma, rilassata. Come se non fosse la prima volta che le tocca intrattenere un’amica drogata e paranoica nel suo salotto alle cinque del mattino. « Oppure no. Possiamo anche parlare del tempo, di quanto siano cambiate le stagioni, di quanto faccia schifo l'inverno oppure di quanto adori quegli stivaletti. E del nome del negozio dove l'hai presi, mi pare chiaro. », abbassa lo sguardo verso ai propri piedi, le caviglie incrociate in maniera scomposta. È surreale. Winter, da fuori, guarda la scena perplessa, indecisa se credere a quell’atteggiamento dolce che trasuda un messaggio forse inequivocabile. Le importa. E nonostante la sua piccola coscienza tridimensionale resti scettica, Winter tiene gli occhi fissi sugli stivaletti, spezzando la tensione con un sorrisino. È riuscita a non piangere quando le ha chiesto senza alcuna remora se fosse strafatta, è riuscita a risucchiare tutto lo schifo e a tentare il suo meglio per restare impassibile, per capitombolare su un paio di stivaletti del mercato delle pulci. Solleva gli occhi pesanti di lacrime, e ride, «Sono vintage», commenta, «Penso. Li ho presi a Camden».
    Si passa la mano libera sugli occhi, cercando di asciugarli, e respira. Karma si merita la verità, ed ormai, in fondo, che male farebbe? Ma da dove cominciare. Da dove cominciare. Da dove. «Sono… veramente fuori di me, ora», posa i resti del biscotto sopra ad un tovagliolo, e torna a coprirsi la mano con la manica. Winter, dall’angolino, si strappa i capelli. Chi l’avrebbe mai detto!
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    Porta la tazzina alle labbra, e si scotta la lingua con il caffè — Bene. È buono, però. Ne beve ancora un sorso, chiude gli occhi mentre lo sente scendere e scaldarle le budella. «Avevo smesso», solleva le spalle, «Avevo smesso, davvero. Davvero», gesticola, le punte delle dita che sfuggono al tessuto ormai strappato in più punti. «Non so che cosa sia successo stasera», sospira, abbassa il mento, chiude gli occhi. Lo sai, invece. «Ho fatto una cazzata», sussurra, arricciando il naso, «Ho fatto una cazzata. Ho visto un amico che aveva la- e allora- ho fatto una cazzata», perché forse non ha altre parole per descriverlo. Perché non riesce a capire se la colpa è di Léon che gliel’ha messa sotto al naso o sua perché se l’è tirata o del destino che ha dimenticato di forgiarla con una forza di volontà. Forse non è colpa di nessuno. È solo nata male.
    «L’ho fatto di nuovo», un altro sorso di caffè, che l’aiuta a realizzare tutto pezzo per pezzo, «Ho completamente sabotato l’unica possibilità che avevo di-», balbetta, posa la tazzina prima di rovesciarla, cerca di fermare le mani stringendole una contro l’altra. Ferma. Stai ferma. Sembri una drogata. «E adesso tanti saluti alla fiducia e a-», fa una pausa, rendendosi conto di star sproloquiando probabilmente con la versione immaginaria di se stessa, inglobata perennemente in quel clic del suo sedicesimo compleanno, con lo stesso abitino bianco ed i capelli con la messa in piega e troppo trucco. L’unica che può rendersi conto di chi esattamente stia parlando. «Sono… sono un disastro», sospira. E forse è l’unica cosa che resta da dire.
     
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    «Sono vintage. Penso. Li ho presi a Camden» Karma non fa altro che annuire, tamburellando delicatamente i polpastrelli contro la scatola dei biscotti prima di prenderne un altro, farlo a pezzi e immergerlo nella miscela calda che ha nella tazza per poi ripescarlo con il cucchiaio. « Magari uno di questi giorni ci andiamo insieme? » Butta là l'idea per cercare di acquietare l'atmosfera che si è fatta improvvisamente più tesa, come se qualcuno ne stesse tendendo gli angoli, in attesa di arrivare, da un momento all'altro, al punto di rottura definitivo. Al punto dal quale nessuna delle due sarebbero potute tornare indietro, volenti o nolenti. Al punto e a capo. « Sì, così li compro anche io, senza alcuna pietà. Prometto di rispettare però il codice delle amiche: quando li indosserai ad una festa, me ne terrò alla larga. Promesso! » Doppia croce davanti alle labbra prima di lanciarle un'occhiata sorridente, gli occhi che scivolano poi nuovamente al suo caffè latte, questa volta in effettiva attesa che sia lei a parlare, a dire qualsiasi cosa per accertarsi di non fare la solita Karma, l'invadente figlia di mezzo che deve cercare in tutti i modi di riempire gli spazi vuoti, i silenzi ingombranti, la Karma che è un elemento d'acqua, con un proprio volume sì ma sempre pronta a prendere la forma dell'ambiente in cui si trova per colmarlo, per non lasciare niente di irrisolto. Si frena dall'aprire ancora bocca e semplicemente aspetta che Winter si senta pronta a dire qualcosa, schiudendo le labbra per modulare qualche suono. «Sono… veramente fuori di me, ora» Quelle parole la costringono a rialzare lo sguardo blu su di lei, sentendosi in dovere di guardarla per dare a quella confessione, che sa stare per arrivare, la giusta attenzione che si merita. Non può dire di sapere effettivamente come barcamenarsi con una situazione del genere, lei al massimo ha fumato un po' d'erba se si parla di droga e valuta mentalmente se cercare online una risposta veloce per aiutare Win a sentirsi meglio nell'immediato. «Avevo smesso. Avevo smesso, davvero. Davvero. Non so che cosa sia successo stasera. Ho fatto una cazzata. Ho visto un amico che aveva la- e allora- ho fatto una cazzata» Deglutisce Karma, gettatasi a capofitto in quell'ondata di emozioni forte di cui Winter è costruita in quel momento. Continua a guardarla, senza azzardarsi ad abbassare lo sguardo per non darle l'impressione di un momentaneo giudizio inesistente nei suoi confronti. «L’ho fatto di nuovo. Ho completamente sabotato l’unica possibilità che avevo di E adesso tanti saluti alla fiducia e a- Sono… sono un disastro» La punta della lingua fuoriesce ad umettare il labbro inferiore mentre è naturale l'istinto della mora di allungare entrambe le mani a chiudere quelle della bionda in una bolla di sicurezza. Le stringe con dolcezza mentre inclina la testa di lato, abbassandosi fin quando non incontra gli occhi cristallini della ragazza. Rimane così, mentre i polpastrelli prendono a carezzarle i dorsi delle sue mani, un sorriso gentile sulle labbra piene. « Va tutto bene, Win. » Le dice in un soffio di voce mentre stacca giusto una mano per far volteggiare la bacchetta in aria, appellando a sé una coperta che le ricade sulle ginocchia. Si alza così in piedi, aprendola per poi poggiargliela sopra le spalle, le braccia che si modellano in un abbraccio intorno al suo corpo. La stringe a sé, lasciando che il calore della coperta di pile e quello del suo corpo si mescolino per arrivare a scaldare la bionda. Il mento si poggia sulla spalla di lei mentre socchiude gli occhi. « Ora aspettiamo soltanto che ti passi, okay? Ci mettiamo sul divano e magari guardiamo qualcosa. » Le suggerisce poi, stringendo ancora un po' l'abbraccio prima di scivolare all'indietro e di
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    lato per tornare di fronte a lei. « Forse il caffè non è stata una gran trovata. » Commenta, la bacchetta che appella la brocca dell'acqua e un bicchiere di vetro che si posano sul tavolo di fronte a Winter. Già meglio. « Oppure senti qua: hai bisogno di dormire, non dire di no che hai due occhiaie che nemmeno il miglior correttore sul mercato riuscirebbe a cancellare. » Un sorriso serafico e assolutamente non colpevole si materializza sulla sua faccia sfrontata. « Quindi magari riposi un po' - io rimango a casa a studiare tanto, tranquilla, non disturbi - e poi quando ti svegli capiamo insieme che fare? » La fissa, trovandosi a pensare che in fondo, parlare con lei in quelle condizioni, non si arriverebbe comunque da nessuna parte. E' fuori di lei, in ogni senso. Si domanda persino come faccia a rimanere ancora sveglia, ricordando gli effetti da botta di sonno che l'erballegra ha su di lei. Ma sa altrettanto bene che Winter non ha fumato un po' d'erba. Ne fissa qualche istante i tratti per cercare di ottenere qualche indizio a riguardo, ma non è il suo campo di studi, per quanto vorrebbe essere sempre quella che sa tutto, conosce sempre come risolvere qualsiasi situazione e aggiustare qualsiasi cosa rotta. Purtroppo però non è una sotuttoio ricolma di onniscienza, nemmeno lontanamente e quindi non le resta che ricoprire il ruolo d'amica, come meglio può e crede. Per questo si abbassa al suo livello per fissarne gli occhi, le ginocchia nude che sfiorano il parquet chiaro. « Oppure, se non vuoi dormire, potremmo uscire in terrazzo a guardare l'alba. » Le esce infine, i denti che mordicchiano il labbro inferiore, incerti mentre lancia un'occhiata verso la finestra più vicina, lì dove le tenebre si stanno rischiarando, lentamente, lasciando il posto alla luce. « Vedi? Anche gli agenti atmosferici ti ricorda che dopo la notte più buia e oscura torna sempre il sole. » Sorride, tornando a stringerle le mani tra le proprie. « Sì, anche se abiti a Londra e hai il meteo avverso per sette/otto mesi su dodici. Quindi sì, penso proprio che l'universo ti sta davvero parlando con quello spiraglio di luce. » Si fa più divertito il tono di voce, più colorito dalla parvenza di una risata. « Altrimenti dimmi tu che vuoi fare e lo facciamo, seduta stante. » Si rialza in piedi, accennando una riverenza andando ad allargare il tessuto della vestaglia. « Sono a tua completa disposizione, miss Bouchard. »
     
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